Il know-how è un insieme di conoscenze tecnico-industriali e commerciali riservate che si configura come un asset prezioso per imprese di tutte le dimensioni: dalle PMI fino alle multinazionali. Esso può essere utilizzato in diversi modi, si può scegliere di sfruttarlo unicamente come risorsa interna all’azienda per conferire al proprio prodotto/servizio un carattere peculiare difficilmente ripetibile o si può decidere di monetizzare vendendolo attraverso ad esempio forme di trasferimento tecnologico ad altre realtà imprenditoriali.

Quel che è certo è che chi ha la fortuna/bravura di poterne disporre ha l’obbligo di gestirlo con saggezza perché esso può rappresentare una corsia privilegiata per raggiungere obiettivi ambiziosi.

Il know-how è tuttavia anche una risorsa che, per sua stessa natura, è assai fragile ed il cui valore può essere distrutto da fughe di notizie, dipendenti infedeli o concorrenti sleali. La vulnerabilità di questa risorsa è connessa all’era in cui viviamo, caratterizzata da continue e per certi versi strabilianti innovazioni tecnologiche, che consentono a praticamente chiunque di registrare ed immagazzinare dati ed informazioni sensibili che possono inoltre essere trasferiti e diffusi con estrema facilità anche attraverso il web.

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Pian piano il termine ha iniziato ad essere utilizzato con una certa frequenza nel linguaggio comune ma, a ben vedere, il concetto che esso esprime non è di semplice definizione. Non è raro dunque che possano sorgere problematiche a livello interpretativo (o applicativo) in special modo quando ad entrare in gioco c’è la tutela morale e patrimoniale dei diritti che a questo sono agganciati.

A livello europeo il know-how è definito dal Regolamento CE n.2790/1999 come “un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove eseguite dal fornitore, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato”. Ciò significa che questo insieme di conoscenze e di abilità operative non sono generalmente di facile accesso (carattere di segretezza), devono essere fondamentali per l’uso, la vendita o la rivendita di un determinato bene o servizio (carattere di sostanzialità) e devono essere descritte in modo chiaro e completo proprio per poter verificare se esse rispondano a criteri di segretezza e sostanzialità.

Fin qui tutto chiaro ma sorge spontanea una domanda: come si può fare una valutazione economica del know-how se il più delle volte sorgono dubbi e problemi anche a livello interpretativo?

In realtà esistono alcuni metodi di valutazione delle cosiddette risorse immateriali ed essi si possono dividere in due grandi classi: i metodi empirici ed i metodi analitici.

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I primi si fondano sul principio di comparazione e dunque sull’osservazione dei prezzi di mercato di beni simili mentre i secondi si basano su un approccio di tipo reddituale-finanziario e dunque stimano il valore del know-how in base ai costi sostenuti, rendimenti attuali e rendimenti futuri di questo tipo di risorsa.

Andando più nel dettaglio la valutazione economica del know-how può essere realizzata per scopi ed obiettivi diversi ed è molto importante anche per i casi di contenzioso che possono sorgere in seguito ad una serie di circostanze.

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Di seguito elenchiamo i sei principali metodi utilizzati nella stima del know-how:

1. Metodo royalties presunte che l’impresa dovrebbe corrispondere se il know-how non fosse di sua proprietà;

2. Metodo del reddito incrementale ovvero il cosiddetto premium price o surplus in termini di valore che il know-how è in grado di conferire ad un determinato prodotto;

3. La stima del costo sostenuto concerne l’individuazione dei principali costi sostenuti per creare la risorsa immateriale (costi di ricerca e sviluppo, consulenze legali, tasse, etc…) ma ha il grande limite di non tenere conto della variazione del potere d’acquisto avvenuta nel corso del tempo;

4. La stima del costo di riproduzione che costituisce un’evoluzione del metodo precedente perché considera i costi che dovrebbero essere sostenuti nel momento in cui viene effettuata la valutazione per riprodurre il know-how di cui si può disporre in quel momento;

5. Il metodo patrimoniale complesso, usato nell’Europa continentale, è fondato su una analisi attenta delle singole attività e passività per arrivare a stabilire un market value of equity;

6. Il metodo misto patrimoniale-reddituale (assimilabile o comunque complementare rispetto al metodo del reddito incrementale), con stima autonoma dell’avviamento è basato sul confronto fra il reddito extra che l’azienda genera per un dato periodo (generato dallo sfruttamento del know-how) ed il reddito “normale” nel contesto del settore merceologico di riferimento. L’unica difficoltà sorge quando l’azienda possiede altre risorse immateriali e diventa dunque difficile capire in che misura esse incidano sull’andamento economico delle attività imprenditoriali.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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