Un’Italia da Export: intervista con iGuzzini

Un’Italia da Export: intervista con iGuzzini

28 Settembre 2016 Categoria: Un'Italia da Export

Nella nostra rubrica “Un’Italia da Export” abbiamo il piacere di ospitare i contributi delle eccellenze targate Made in Italy che con competenza e coraggio si affacciano sui mercati internazionali. Tra queste c’è iGuzzini, azienda che dal 1959 è impegnata a favore di sviluppo positivo della vita e delle società attraverso la luce. Nell’intervista rilasciataci da Massimiliano Guzzini - vicepresidente e Direttore Business Innovation Network della società - si spiega come la mission di iGuzzini sia promuovere un uso responsabile dell’energia presso le organizzazioni pubbliche, i protagonisti dell’architettura, dell’industria e del commercio, a supporto delle città, per un reale miglioramento della vita sociale…

Ci racconti brevemente la storia della sua azienda…

La iGuzzini illuminazione viene fondata nel 1959 con il nome di Harvey Creazioni da mio padre, insieme ai suoi 5 fratelli maggiori. Utilizzando le tecniche dello stampaggio dei materiali plastici, tecnologia in cui si erano specializzati cominciando per passione, in uno scantinato, nella produzione di lampade per il settore domestico. Il passo successivo, la seconda intuizione vincente, è stata collaborare con i designer (a partire da Luigi Massoni), in un periodo in cui il design cominciava a muovere i primi passi a Milano, passi che faranno la storia del design italiano. Subito si sono visti i risultati in termini di crescita di fatturato e numero di addetti. La crisi petrolifera della metà degli anni Settanta, togliendo possibilità di sviluppo alla produzione di oggetti in materiale plastico, ha accelerato la trasformazione dell’azienda nel settore dell’illuminotecnica (che all’epoca non esisteva in Italia), rendendoci di fatto la prima azienda italiana a operare in questo settore. Questo primato ha comportato un importante processo di trasformazione culturale, industriale e strategico. Passare all’illuminotecnica significava innanzitutto creare le basi culturali di un settore nuovo, pertanto siamo stati i primi a creare una cultura della luce, attività che peraltro continuiamo a operare date le continue innovazioni che portiamo sul mercato. In parallelo, è stato necessario cambiare anche la rete distributiva: il prodotto non era più finalizzato al consumatore finale, ma al prescrittore. L’azienda ha così cominciato a caratterizzarsi per la cultura dell’architettura e del design, culminata in quel periodo (parliamo degli anni Ottanta) con la collaborazione con Renzo Piano per la ristrutturazione del Lingotto. Nel tempo queste collaborazioni sono continuate sia con architetti di fama conclamata come Santiago Calatrava, Rem Koolhaas, Oscar Niemeyer, Richard Meier, Norman Foster, Daniel Liebeskind sia con architetti emergenti nel panorama internazionale come Snøhetta, MVRDV, UN Studio, GMP. Oggi iGuzzini è una comunità internazionale al servizio dell’architettura e dello sviluppo della cultura della luce. È un polo produttivo con una forte e radicata vocazione all’innovazione; un centro di eccellenza dedicato allo studio, alla gestione della luce nelle sue diverse forme e al supporto per i professionisti del settore. Produciamo sistemi di illuminazione per interni ed esterni in collaborazione con i migliori architetti, lighting designer, studi di ingegneria, università e centri di ricerca in tutto il mondo. Le nostre aree di applicazione su scala globale sono i luoghi della cultura (architetture, musei, opere d’arte), del lavoro, del retail, delle città, delle infrastrutture e dell’hospitality&living.

Quali sono gli elementi e le condizioni che hanno decretato il successo della sua azienda sul mercato attuale?

Design, ricerca, tecnologie, prodotti, mercati, internazionalizzazione sono discipline che abbiamo da sempre coltivato e sviluppato a partire dai valori di una solida etica industriale. Credo che il fattore massimo di successo sia proprio il mix di innovazione e cultura progettuale che, da un lato, ci permette di dialogare sulla base di un linguaggio comune con architetti e committenti e, dall’altro, ci pone in una posizione pionieristica rispetto a tematiche oggi definite innovative. Per esempio, quella che viene chiamata LEDification (l’utilizzo esclusivo dei Led, in sostituzione delle altre tecnologie a maggiore impatto ambientale). Tra le nostre linee guida, la scelta “Only LED” risale al 2013, così come la luce intelligente è un argomento che, collegato all’elettronica del LED, ci ha consentito di esplorare argomenti come la luce adattiva già dal 2009. Gestire la luce attraverso sensori di presenza e movimento, regolarne temperatura e intensità in base ad algoritmi preimpostati a seconda di esigenze collettive e individuali, o dei mutamenti della luce naturale è un esempio fattivo di sensibilità nei confronti di temi come efficienza, sicurezza, comfort e sostenibilità ambientale che oggi viene ritenuto una chiave di volta nell’ambito smart places (smart city, smart home, smart building, smart retail, smart culture). La luce e in modo particolare i punti luce sono un elemento della piattaforma infrastrutturale più diffusa per l’Internet of Things (IoT): la luce diventa elemento per la trasmissione dei dati e il corpo illuminante diventa un mezzo per la comunicazione su protocolli WCL, Li - Fi, Beacon, gestibile attraverso diversi devices. La luce si scopre elemento per creare nuovi servizi basati sulle velocità di trasmissione delle informazioni, a vantaggio degli utenti: per esempio durante la visita di un museo, grazie all’attivazione di sensori, permette di ottenere informazioni intelligenti attraverso app; ci dà informazioni di videosorveglianza in tempo reale per il traffico e i parcheggi all’interno della città; rileva i flussi di occupancy all’interno dei luoghi di lavoro, dove l’ottimizzazione degli spazi è oggi vitale, e nel retail può essere utile per conoscere determinati comportamenti di acquisto. Allo stesso modo, quello che oggi è uno dei temi nodali per il futuro della luce, identificato come Human Centric Lighting, ovvero come la luce influisce biologicamente sul benessere degli esseri umani, in iGuzzini ha radici lontane (fine anni 80), nonostante i limiti delle tecnologie dell’epoca. Le nostre sperimentazioni nel campo della foto-biologia sono infatti iniziate nel 1988 e gli studi sulla luce biodinamica condotti insieme a una delle massime autorità internazionale in materia, il Lighting Research Center di Troy (USA, 1992), basati sulle relazioni fra le variazioni della temperatura e dell’intensità della luce e i ritmi circadiani degli esseri viventi, hanno dato origine a un brevetto e un sistema d’illuminazione biodinamica chiamato SIVRA (Sistema di Illuminazione Variabile a Regolazione Automatica). Questo sistema è in grado di riprodurre in luoghi artificiali il naturale modificarsi della luce solare, ed è in grado non solo di migliorare le qualità di vita e di lavoro in ambienti confinati, ma anche di coadiuvare le attività riabilitative delle persone uscite dallo stato di coma. Già nel 2003 abbiamo infatti collaborato a un progetto di ricerca con l’Ospedale Maggiore di Bologna e il Centro Ricerche e Studi per il Coma per studiare l’efficacia della luce biodinamica nella riabilitazione dal coma. I risultati hanno dimostrato che la luce biodinamica ha la capacità di aumentare il livello di concentrazione dei pazienti, favorendo la riabilitazione. Alcune applicazioni di People Centric Lighting in ambito lavorativo sono il nuovo edificio di Scuderia Ferrari progettato da Jean-Michel Wilmotte, nel cuore del complesso di Maranello, e chiamato GES (Gestione Sportiva Ferrari), dedicato alla progettazione, realizzazione e sviluppo della monoposto di F1; la sala di controllo della raffineria Motel di Marsiglia e il call center della Virgin a Londra.


Il nostro sguardo proiettato verso il futuro è focalizzato sul messaggio Social innovation through lighting, che decliniamo nei diversi ambiti in cui veniamo chiamati a operare. Social innovation through lighting è stato restituire all’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci lo splendore che meritava, perso da tempo, grazie a un nuovo progetto di luce. Rendere visibile l’opera d’arte al pubblico di oggi e di domani, garantendo la migliore fruizione e preservando l’opera dal deterioramento. L’intervento presso il Cenacolo Vinciano di Milano nel 2015, durato sei mesi, ci ha visto impegnati a fianco dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, coinvolgendo tutti gli esponenti delle Sovrintendenze, e il risultato ottenuto non è stato solo il radicale miglioramento della resa cromatica assimilabile a un’opera di restauro (tanto da poter essere definito restauro percettivo), ma anche la riduzione del fattore di rischio che consentirà a 45.000 visitatori in più ogni anno di vedere l’opera. Allo stesso modo, negli ultimi vent’anni abbiamo operato a Galleria Borghese (Roma), Piazza del Duomo e Piazza San Giovanni (Firenze), Centre Pompidou (Parigi), Ponte di Mostar (Bosnia-Erzegovina), Mercato di Colon (Valencia), San Pietroburgo (Russia), il progetto di illuminazione dalla città di L’Avana e in tanti altri luoghi. Ora stiamo lavorando al restauro percettivo della Cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova. Social innovation through lighting è collaborare con la London School of Economics a un progetto che ha come obiettivo creare un manuale destinato ai lighting designer, in cui il piano della luce non sia solo un calcolo illuminotecnico (livelli di illuminamento, rispetto delle normative etc.), ma sia basato sulle metodologie delle scienze sociali. Così, attraverso la luce, abbiamo realizzato un progetto di riqualificazione di un quartiere degradato di Londra e siamo appena tornati da Muscat, dove grazie alla luce è stata fatta un’operazione analoga nel Souq ai margini della città. Nei prossimi mesi, sono già in programma nuovi workshop in altre città del mondo, a partire da Sydney. Social innovation through lighting è aver ricreato il sole, la luna e la loro luce in Islanda, in uno dei centri di ospitalità più rinomati al mondo, per offrire alle persone la possibilità di avere la luce preferita in diversi momenti della giornata, in un luogo della terra dove i giorni sono scanditi da molta luce e brevi notti in estate, e periodi di buio più lunghi in inverno.
L’innovazione deve essere anche innovazione di processi. Dal 2014, in iGuzzini l’industria manifatturiera è World Class Manufacturing. Zero difetti, zero guasti, zero incidenti e zero scorte sono gli obiettivi di questo programma di miglioramento continuo che qualifica i più importanti produttori di beni e servizi mondiali. Sviluppata negli USA negli anni ’90 e introdotta in Italia attorno al 2005 da una collaborazione tra il Gruppo FIAT e specialisti giapponesi del settore (Yamashima), WCM coinvolge in uguale maniera ogni figura all’interno dell’azienda.

Quale metodologia di ingresso ha adottato per fare business all’estero e in quali mercati siete oggi presenti?

L’internazionalizzazione è stata individuata da subito come elemento strategico strutturale per la crescita dell’azienda e per il suo radicamento in Europa attraverso le filiali e i distributori esclusivi.
Negli anni Sessanta sui mercati di più facile penetrabilità, come quelli europei, avevamo creato dei distributori esclusivi. La scelta strategica di andare ad operare su mercati qualificati e selettivi piuttosto che su mercati meno qualificati, anche se più remunerativi come per esempio il Medio Oriente, era basata sullo studio dei flussi d’importazione e di esportazione dell’arredamento e dell’illuminazione nei paesi in cui si concentrava la domanda e l’offerta (Inghilterra, Francia Germania). Si era individuato un profondo legame tra la potenzialità del mercato e l’alto livello di vita. Proprio nei principali mercati europei, in seguito, il rapporto con i distributori esclusivi si è evoluto nella creazione di filiali che noi abbiamo cominciato a definire come “multinazionali tascabili”. Le filiali sono dei nodi vitali, che generano tutta una rete di rapporti con altre aziende e con gli opinion leaders delle attività professionali e culturali legate alla nostra attività, naturalmente non solo nel paese in cui si trovano, ma anche poi con l’Italia e con la nostra sede di Recanati. Oggi iGuzzini illuminazione S.p.A. ha il controllo su diciassette società, una delle quali con sede in Italia e sedici site all’estero, in paesi dell’Unione Europea (Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e Finlandia), in Norvegia, Svizzera, Cina, Singapore, Canada, Stati Uniti, Russia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti.

Qual è il peso delle attività internazionali oggi sul suo business?

Dal 2000 in poi abbiamo continuato a investire nell’internazionalizzazione. Oltre allo stabilimento in Italia, ne abbiamo un altro in Cina per il mercato asiatico e delle linee di assemblaggio a Montreal, in Canada, per il mercato nordamericano. In tutto abbiamo 23 filiali nel mondo. Storicamente siamo forti in Europa. Per la prima volta, nel 2015 abbiamo ottenuto il 20% del fatturato tra America e Asia-Oceania, le aree extra europee più importanti, insieme con il Medio Oriente. Il fatturato complessivo del 2015 è stato di 223,5 M €, con un + 8,8% rispetto all’anno precedente (il fatturato negli ultimi tre anni è cresciuto complessivamente di oltre il 20%), ed è composto dal 75% di export.

Nel vostro percorso di espansione all’estero siete stati supportati da strutture pubbliche e/o da società di consulenza private?

In Europa abbiamo agito prevalentemente attraverso società private, anche perché siamo presenti sui territori con sedi che svolgono attività a trecentosessanta gradi: tecniche, di marketing/comunicazione, amministrative, logistiche e ovviamente commerciali. Normalmente i nostri partner istituzionali sono stati prevalentemente ICE ed Ambasciate, anche se oggi abbiamo una rete di professionisti in grado di seguirci nelle varie problematiche. Un discorso a parte deve essere fatto per la creazione della nostra filiale in Cina, dove mi sono trasferito personalmente per 5 anni per avviare la società. Nel 2006 abbiamo costituito la iGuzzini Lighting China Ltd. che svolge anche attività di produzione per il mercato asiatico e, tramite la sua controllata Shanghai iGuzzini Trading China, di commercializzazione. L’insediamento cinese si integra in una strategia di sviluppo del mercato sud-est asiatico e dei mercati limitrofi (Oceania, India), perché ci garantisce una più efficiente gestione della logistica e del servizio a questi mercati. Questo insediamento produttivo inoltre ci permette di essere competitivi anche nel mercato dello street lighting, tradizionalmente caratterizzato da grandi volumi e bassa marginalità. In questa operazione ci siamo avvalsi delle società di consulenza private Ambrosetti e Barbatelli & Partners, a cui ha fatto seguito il felice ingresso nel nostro board (di cui fa tuttora parte) di Cristiana Barbatelli, una delle più qualificate sinologhe, con oltre 30 anni di esperienza nella gestione di investimenti complessi in Cina. In Cina non è percorribile l’idea di entrare per fare “semplicemente” business. L’attività industriale o commerciale è strettamente legata alla capacità delle aziende di comprendere gli aspetti culturali e sociali del pianeta Cina. Quindi è stato fondamentale avere dei consulenti che ci aiutassero in questa attività di mediazione culturale. In un primo momento inoltre abbiamo valutato anche se acquisire, piuttosto che creare una nuova impresa da zero, e alla fine abbiamo avuto optato per la seconda soluzione. I consulenti ci hanno accompagnato attraverso le fasi di entrata graduale nel business: Rappresentative Office, Branch e infine Company, fornendoci consulenze di tipo fiscale, legale, amministrativo, e relativo alla gestione delle risorse umane. La struttura creata è completamente di proprietà del gruppo e si è deciso che questa nuova impresa fosse seguita da personale italiano, in modo da poter definire piani di carriera che potessero prospettare una certa stabilità e sicurezza. Una parte del capitale per l’internazionalizzazione è stato ottenuto grazie a SIMEST, ed è stato importante avere un partner istituzionale soprattutto nella fase di Start Up. Ci ha qualificato ed anche facilitato proprio tutte quelle pratiche burocratiche che in questo modo hanno avuto un garante istituzionale e pubblico, importante in un paese come la Cina. Alla fine, il break even point è stato raggiunto con motivata soddisfazione in tre anni.

Com’è il rapporto con la burocrazia all’estero e, più in generale, quali sono state le principali difficoltà riscontrate?

Anche in questo caso si deve fare un discorso particolare per la Cina dove il problema principale è stato riuscire a comunicare e far conoscere il nostro nome al target di riferimento, composto da architetti e da Lighting designers e soprattutto farlo in lingua cinese, non passando quindi attraverso l’inglese che d’altra parte non è nemmeno così “praticato” in Cina. Siamo partiti quindi, ragionando attorno al payoff “Better Light for a Better Life”, da cui il nostro logo iGuzzini era sempre accompagnato dal 2002. Primo immenso scoglio: gli ideogrammi. Può sembrare banale ma nessuno della nostra struttura in Cina aveva una conoscenza abbastanza approfondita dell’inglese per poter ragionare approfonditamente su questa traduzione. Gli ideogrammi inoltre possono cambiare significato a seconda di come vengono combinati. Per questo ci siamo rivolti ad un’agenzia di comunicazione specializzata che ci aiutasse in questo lavoro di “naming” e “branding”. Siamo partiti dallo studio di cosa avevano scelto aziende entrate prima di noi sul mercato cinese, indipendentemente dal settore in cui operavano. Abbiamo fatto una verifica di quale era l’approccio delle diverse aziende, dividendo fra le aziende della moda e del lusso rispetto ad aziende che propongono prodotti consumer. Dalle analisi fatte abbiamo individuato che i grossi marchi del lusso e del settore del design avevano scelto di mantenere il loro marchio senza tradurlo, a differenza delle aziende che lavorano nel mondo del consumer, come Coca Cola per esempio, che aveva scelto di tradurre il proprio marchio con un significato ben preciso e caratteri che significano letteralmente “permettere alla bocca di essere in grado di rallegrarsi”, più semplicemente “gradevole e che rende felice.” Quindi noi abbiamo scelto di lasciare il nostro logo senza traduzione, ma di tradurre il nostro payoff che trasmetteva alcuni valori legati al nostro brand, ma soprattutto al nostro modo di lavorare. Nel momento della scelta ci siano confrontanti anche con i professionisti (architetti e lighting designers) legati alla nostra attività e fidelizzati al nostro brand. Insieme abbiamo valutato una serie di ideogrammi visto che per il nostro payoff erano state individuate 40 diverse possibilità di traduzione. Il Focus Group organizzato è servito per individuare il claim che fosse più vicino al vero significato inglese perché fare un errore in questa fase avrebbe significato non trasmettere correttamente quelli che sono i valori della nostra azienda. Per arrivare al miglior risultato finale, abbiamo dovuto tenere conto di diversi fattori, come la facilità di lettura e di memorizzazione, la gradevolezza del suono (in Cina il suono delle parole è estremamente importante), e che fosse composto da ideogrammi conosciuti (basta pensare che gli ideogrammi sono 56.000, e che un laureato di primo livello ne conosce mediamente 5000/6000 per capire come può essere facile fare una scelta di comunicazione sbagliata.

Quali sono i vostri piani futuri di sviluppo? Avete già in mente nuovi mercati da conquistare?

Il progetto di espansione prevede, salvo imprevisti, la quotazione in borsa attorno al secondo semestre 2018. In questo percorso, abbiamo un partner eccellente nella investment-merchant bank TIP di Giovanni Tamburi, che ha portato in Piazza Affari 35 aziende tra cui Moncler, Interbump, Amplifon, Prysmian. Peraltro, sempre con il coinvolgimento diretto di TIP, è stata portata a termine anche la razionalizzazione dell’azionariato di Fimag, la holding di famiglia a capo del gruppo, nell’ottica di consolidare una leadership gestionale e di rafforzare ulteriormente la governance del gruppo. Strategicamente, ci muoviamo su due direttrici: da un lato abbiamo la possibilità di svilupparci in maniera più accelerata in Nord America, dove nei prossimi 5 anni ci attendiamo una crescita più forte che altrove. Ma, parlando di acquisizioni, ci interessa anche una società che, nella Vecchia Europa, possa integrarsi velocemente con il nostro portafoglio prodotti e darci una nuova spinta come rete di relazioni con contractor, studi di architettura, lighting designer, studi di ingegneria. Ci piacerebbe un marchio tedesco, vedremo.

Quale consiglio si sente di dare agli imprenditori che intendono affacciarsi nello stesso contesto estero?

L’internazionalizzazione è un processo che va perseguito con forte determinazione e forte continuità. Per il successo dell’operazione, il primo passo da fare è individuare prima di tutto il mercato potenziale di riferimento, evitando di disperdere investimenti su più fronti contemporaneamente. Anche perchè c’è una sorta di pregiudizio nei confronti dell’imprenditore italiano che viene spesso stereotipato nella logica del “mordi e fuggi”, quindi non ritenuto affidabile, perciò bisogna dimostrare da subito invece di essere fortemente motivati e determinati. Poi, come si diceva prima, occorre non limitarsi solo a logiche commerciali, e approfondire invece i meccanismi culturali e sociali del Paese target, per entrare veramente a far parte di quel contesto.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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