Authentico: la startup Made in Italy che vuole sconfiggere l’Italian Sounding con un’app

Authentico: la startup Made in Italy che vuole sconfiggere l’Italian Sounding con un’app

21 Febbraio 2018 Categoria: Un'Italia da Export

Con Giuseppe Coletti, Ceo & Cofounder di Authentico, abbiamo conosciuto meglio una startup nata con l’obiettivo di proteggere l’autenticità delle produzioni del Belpaese attraverso l’utilizzo di una semplice app per smartphone.

Da dove nasce l’idea di Authentico?

Come molte startup siamo partiti da un problema. Nel nostro caso il “mostro” da combattere si chiama Italian Sounding. L’Italia è al primo posto come produttore di prodotti agroalimentari più ricercati all’estero. I consumatori stranieri amano le eccellenze nostrane, ma non le conoscono bene anche perché ne abbiamo tantissime (circa 5847 referenze). Si stima che, nel mondo, 2 prodotti su 3 venduti come “italiani” siano in realtà delle imitazioni in grado di produrre un giro di affari da oltre 60 miliardi di dollari. Authentico aiuta i consumatori stranieri a riconoscere i veri prodotti enogastronomici Made in Italy attraverso un’app gratuita per smartphone in modo semplice ed immediato. Inoltre permette di segnalare i prodotti “tarocchi” consentendo di scattare una foto geo-localizzata che sarà inviata direttamente ai produttori. La nostra missione è offrire un approccio innovativo al contrasto del fenomeno dell’Italian Sounding, una soluzione che parte dal basso, ovvero da coloro che amano il cibo italiano. Ma soprattutto supportiamo le aziende italiane del settore agroalimentare a vendere di più all’estero, a tutelare, diffondere e valorizzare i loro prodotti. Forniamo un sistema di supporto decisionale che possa accompagnarle nella realizzazione di investimenti sui mercati esteri con maggior potenziale; il tutto senza però complicare i processi di confezionamento, senza costringerle ad adottare nuovi codici, certificazioni, etichette o modificare il packaging.

Da chi è composto il vostro team e quali sono le competenze più importanti per lo sviluppo e la crescita della vostra idea imprenditoriale?

Non siamo dei tipici startupper post-universitari, ma manager e professionisti che hanno una conoscenza della complessa materia dell’export e della distribuzione del mercato agroalimentare ed enogastronomico. Questo ci ha consentito di creare una soluzione innovativa mettendo attorno ad un tavolo un esperto di comunicazione, uno di digital marketing ed un terzo esperto di business innovation. Sono convinto che nel team dei founder non debbano mai mancare gli sviluppatori. L’ipotesi che un partner esterno, per quanto bravo e veloce, possa seguire le evoluzioni ed i continui cambi di direzione che una startup effettua nei primi anni di vita è lontana dalla realtà.

Quali sono le principali difficoltà che una startup incontra nel mercato italiano?

Non siamo sicuramente una startup nation. Nonostante il numero delle startup innovative sia in crescita, la burocrazia e la diminuzione e frammentazione degli investimenti scoraggerebbero chiunque. In Italia l’argomento startup sembra essere più una moda, soggetta ad alti e bassi, che un progetto concreto della politica come quello che invece sta realizzando la Francia di Macron. Tuttavia, credo che la cosa peggiore sia l’assenza della cultura del fallimento. In Italia si ha paura di fallire ed essere per questo marchiati a vita, cosa che non accade ad esempio in USA dove il fallimento è vissuto come un primo tentativo per imparare una lezione.

Quali mercati internazionali pensate siano più attrattivi per il vostro business e quali invece i migliori per trovare più facilmente investitori o finanziamenti?

Crediamo che gli stessi mercati di sbocco dell’export enogastronomico italiano possano essere interessanti ed interessati al nostro business perché gli importatori ed i distributori spesso sembrano più attenti dei produttori nella tutela e nella promozione dei nostri prodotti all’estero. Forse perché vivono sulla loro pelle gli effetti della concorrenza sleale di chi imita le nostre eccellenze. Per cui sicuramente USA, Germania, UK e Cina.

Partecipare a programmi di supporto e tutoraggio offerti da incubatori ed acceleratori italiani genera un’utilità ed un vantaggio competitivo per una startup?

Se gli incubatori smettessero di fare business sulle startup e iniziassero a fare impresa con le startup forse ci sarebbero maggiori opportunità. Ci sono alcuni acceleratori molto validi in Italia, ma bisogna prestare attenzione ad i settori dove sono introdotti. In un paese basato quasi esclusivamente sul capitalismo relazionale si viene presentati a potenziali investitori che sono nel network dei settori industriali dove l’incubatore o l’acceleratore ha le sue relazioni.

Quale consiglio dareste ai giovani startupper che intendono sviluppare una propria idea in Italia?

Nella fase più delicata di validazione dell’idea, chiedere a quanti più esperti possibili, ma non fermarsi mai di fronte a nessun ostacolo, piuttosto gestire le obiezioni e saper prendere spunti da esse per apportare delle modifiche al prodotto, al servizio o al modello di business. Come diceva Einstein “se in un primo momento l’idea non è assurda, allora non c’è nessuna speranza che si realizzi”. Ma nel contempo non innamorarsi mai troppo della propria idea al punto da non ascoltare i consigli degli esperti che possono suggerire dei cambi di direzione. Ed infine non chiedere mai ad un venture capitalist se la vostra idea gli piace perché sappiate che la maggioranza degli investitori non sono interessati alle idee ma piuttosto alla capacità concreta che l’execution ha di generare revenue. Imparare dagli errori degli altri, i successi hanno poco da insegnare. Noi, ad esempio, abbiamo imparato che per essere innovativi non bisogna necessariamente essere disruptive, soprattutto in un mercato maturo dove la discontinuità può essere considerata un ostacolo all’adozione della soluzione proposta.

Obiettivi per il futuro…

Stiamo lavorando con impegno per diventare il punto di riferimento italiano nel contrasto al fenomeno dell’Italian Sounding. Desideriamo aiutare fattivamente le aziende del settore che esportano ad identificare con precisione il loro target ed instaurare un dialogo bidirezionale, mutando la percezione da “brand” a “friend”.

Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

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