Il Cile ha conosciuto negli ultimi anni un percorso di crescita economica che lo sta gradualmente portando ad emanciparsi dalla condizione di dipendenza dall’export di materie prime verso una sempre maggiore diversificazione economica. Questo processo potrebbe prospettare interessanti opportunità per le PMI italiane.
Il Cile dei giorni nostri sembra non avere più nulla a che fare con quello di qualche decennio fa. In effetti il Paese oggi rappresenta una realtà totalmente diversa rispetto a quella che ha subito - fino alle libere elezioni del 1989 - la dittatura del generale Augusto Pinochet il quale, anche grazie al forte sostegno del governo americano, aprì la strada all’implementazione di politiche neoliberiste basate sul laissez-faire, sul libero mercato e sul conservatorismo fiscale e per questo inequivocabilmente contrapposte al sogno democratico di autonomia e socialismo portato avanti da Salvador Allende.
Dalla fine del 2017 il Cile è guidato da Sebastián Piñera, un magnate di 69 anni al suo secondo mandato (non consecutivo, il primo era stato dal 2010 al 2014) sostenuto dai due principali partiti di centrodestra del Paese che propone un programma di governo piuttosto tradizionale (riduzione delle tasse, creazione di 600mila posti di lavoro, ecc.) ma deve anche affrontare alcune tematiche molto spinose come la riforma delle pensioni e quella dell’istruzione.
Alcuni pacchetti di riforma sono già stati presentati, come quello sulla competitività e gli investimenti, sul sistema universitario e la riforma costituzionale a difesa della parità di genere (quest’ultima è stata recentemente approvata), ma la coalizione di Piñera non ha la maggioranza al Congresso, e ciò significa che prima di essere approvate le nuove leggi devono passare per un faticoso processo di negoziazione con l’opposizione.
In generale, l’esecutivo del multimilionario, si trova a dover affrontare un diffuso malcontento popolare generatosi negli ultimi anni in seguito al peggioramento di una situazione economica che si è fatta progressivamente più complicata. A danneggiare l’economia del Paese sono stati prevalentemente due fattori: il crollo del prezzo delle materie prime (in particolare il prezzo del rame, la commodity nazionale per eccellenza) ed un tasso di inflazione abbastanza elevato (4,1% nel 2016), che però nel 2017 si è attestato su cifre più contenute (+2,18%). In più è stato registrato anche un aumento del tasso di disoccupazione che, dopo esser passato dal 6,3 al 7% si è ora stabilizzato intorno al 6,7%.
Le aspettative sono dunque elevate viste le performance negative degli ultimi anni e che sembrano veramente modeste per un Paese dotato di straordinarie ricchezze naturali ed un tasso d’istruzione tra i più elevati di tutta l’America Latina.
E tuttavia non è facile soddisfarle: nonostante il PIL abbia toccato il +4% nel 2018 e sebbene Piñera lo rivendichi come un importante risultato delle politiche economiche e sociali della sua amministrazione, il gradimento del suo governo ha registrato di recente un significativo 54% di disapprovazione.
Ciò si spiega in parte con il fatto che le prospettive di crescita per il 2019 sono state riviste al ribasso, un punto decisamente a sfavore di un partito che aveva incentrato la sua campagna elettorale proprio sulla necessità di creare “tempi migliori” rispetto al governo precedente di Michelle Bachelet, e dall’altro si può ricondurre al malcontento popolare derivante dalla forte disuguaglianza sociale che caratterizza il Paese. Recentemente Amnesty International ha addirittura lanciato un allarme sulla situazione dei diritti umani in Cile, evidenziando come la situazione sia precipitata da quando Sebastian Pinera è entrato in carica.
Il problema principale che però il Cile si trova a dover fronteggiare con maggiore urgenza è quello della diversificazione economica che non può più essere procrastinata. Il Cile è infatti un Paese legato all’estrazione mineraria: è leader nella produzione di rame, con quasi il 32% di quella mondiale ed è il primo produttore di nitrati naturali, iodio e litio, il terzo di molibdeno, l’ottavo di argento ed il quattordicesimo di oro, tanto che il settore minerario cileno vale poco meno dell’80% delle esportazioni del Paese, per esportazione del Cile, con un valore in volume di affari che supera i 76 miliardi di dollari, di cui 50 corrispondono alla sola vendita di rame.
Questa dipendenza ovviamente lo rende estremamente vulnerabile alle oscillazioni del mercato, un lusso che il Paese non può permettersi e per superare il quale ha già avviato diverse politiche che hanno portato la dipendenza delle entrate pubbliche dai proventi del rame a diminuire da oltre il 25% a circa il 10%, mentre la diversificazione delle destinazioni dei flussi commerciali (non solo ed esclusivamente Cina come avveniva in passato), ha attenuato i rischi.
Inoltre, il Cile sta cercando anche di superare la dipendenza energetica dal petrolio guardando con sempre maggiore interesse a fonti di approvvigionamento alternative, un’opportunità da non lasciarsi sfuggire già nel breve periodo, specialmente per le condizioni geografiche idonee allo sviluppo di progetti nei settori dell’energia solare, eolica ed idroelettrica. In questo settore, il Cile ha in progetto investimenti di oltre 70.000 milioni di dollari entro il 2020, e ciò rappresenta ovviamente un’opportunità da non perdere per le società che operano nelle energie rinnovabili. I grandi investimenti realizzati e la presenza di importanti multinazionali che richiedono alti standard di servizio, aprono poi possibilità interessanti per lo sviluppo di attività legate ai servizi. In particolare, per le piccole e medie aziende con capacità, conoscenze e produttività che permettano di migliorare l’efficienza degli investimenti in corso, in settori che richiedano capacità tecnologica e di innovazione a livello di processi o infrastruttura. Queste multinazionali che hanno stabilito in Cile i propri uffici regionali, hanno poi trasformato il Paese in un polo finanziario significativo.
Rapporti con l’Italia
L’Italia e il Cile sono due Paesi lontani geograficamente ma vicini per molti aspetti, non solo per le intense e sinergiche relazioni economico-commerciali ma anche per le affinità culturali, le sintonie politiche e la presenza di un’importante collettività italiana, ben inserita nel Paese.
I due sistemi economici sono complementari: la chiave delle relazioni bilaterali è infatti lo scambio tra materie prime cilene e macchinari e tecnologia italiani. L’elevata qualità del comparto della meccanica strumentale italiana e l’ampia disponibilità di materie prime e risorse naturali cilene consentono di individuare nel settore minerario, manifatturiero e tecnologia per l’agroalimentare ottimi margini di crescita per l’export italiano.
Inoltre va segnalato che per la conformazione del tessuto imprenditoriale, il Cile presenta degli elementi di somiglianza - seppur con le dovute distinzioni - con il nostro Paese rappresentando la realtà con la più alta concentrazione di PMI esportatrici del Sudamerica. È evidente che le quasi 4.000 piccole e medie imprese esportatrici cilene non possano essere paragonate alle quasi 164.000 PMI italiane che vendono sui mercati esteri, ma certamente si potrebbe instaurare una proficua collaborazione fra PMI cilene ed italiane specialmente perché il “saper fare” tipico del Made in Italy potrebbe essere molto utile allo sviluppo del tessuto industriale cileno. Il Cile ha infatti più volte manifestato il proprio interesse a studiare e, con gli opportuni aggiustamenti, “riprodurre” in loco il sistema italiano delle PMI (legislazione di appoggio alle PMI, sistema di credito, distretti industriali, consorzi all’esportazione).
L’incentivo di un sistema di PMI e di distretti industriali apre dunque un grande spazio d’inserimento agli imprenditori italiani interessati ad investire in Cile e alla internazionalizzazione delle nostre PMI.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it
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