Per il superamento degli ostacoli al pieno dispiegarsi del potenziale di sviluppo e di creazione di posti di lavoro delle PMI, l’internazionalizzazione é la dimensione necessaria per i sistemi produttivi dei Paesi avanzati, anche per saper cogliere - in giro per il mondo - quei “dividendi della globalizzazione” spesso citati dal Vice Ministro Calenda.

Le PMI rappresentano la quasi totalità delle imprese europee, in Italia il 98,5% del tessuto produttivo sono micro e PMI e – per riuscire a competere sui mercati internazionali - il dato dimensionale é sempre più dirimente, mentre la vecchia filosofia (favola) del “piccolo é bello”, non più credibile e sostenibile.

Gli stessi “distretti industriali” al centro delle politiche anche comunitarie come fattore privilegiato per sviluppare e indirizzare le politiche di sviluppo a livello territoriale, sono considerati oggi più come un perimetro favorevole per far crescere l’attività di impresa ma non come un’attività imprenditoriale in se e da più parti si é richiamata l’attenzione sull’instaurazione di forme di collaborazione diverse e maggiormente incisive.

Quindi ben venga qualsiasi strumento per favorire l’aggregazione delle imprese e cercare di sopperire ai limiti dimensionali.

Tra le novità di rilievo assoluto – innovazione innanzitutto legislativa italiana apprezzata anche in Europa - va certamente menzionato il contratto di rete.

Si tratta di uno strumento concepito proprio per andare in contro ad esigenze della classe imprenditoriale che a un primo sguardo possono anche sembrare contraddittorie, ovvero la collaborazione su progetti condivisi e il mantenimento dell’autonomia.

Uno strumento flessibile e leggero che consente di operare sulle imprese e per le imprese, senza creare ulteriori strutture burocratiche.

Per far luce su questo nuovo strumento e sul potenziale che dispiega anche nel comparto dell’internazionalizzazione, lo scoro 11 maggio, al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) in collaborazione con RetImpresa Confindustria é stato organizzato il Convegno “Il Sistema Paese per l’internazionalizzazione delle Reti di Impresa”.

L’iniziativa ha rappresentato un momento di coordinamento e di riflessione sui progressi finora registrati in termini numerici e qualitativi e ha visto la partecipazione tra gli altri sia del Vice Ministro Carlo Calenda che nel suo intervento di apertura ha sottolineato come questa nuova realtà rappresenti una risposta più efficace e moderna perché svincolata dalla collocazione geografica dei distretti e come rappresentino anche dalla prospettiva delle istituzioni, un’interfaccia privilegiata.

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Il Responsabile della Farnesina, Paolo Gentiloni intervenuto in chiusura dei lavori, ha citato lo storico Carlo Cipolla che nel suo “Allegro ma non troppo” richiama alcuni tratti della missione storica dell’Italia nel “produrre all’ombra di campanili, cose belle che piacciano al mondo” ricordando come il nostro sistema é ancora capace di competere e come appunto le reti di impresa rappresentino un’arma vincente per aumentarne la portata.

Con l’aiuto all’esaustiva pubblicazione distribuita ai partecipanti curata da MAECI e RetImpresa “L’internazionalizzazione delle reti di imprese”, andando ad approfondire i punti di forza di questo nuovo tipo di contratto, si evince come e perché gli imprenditori vedono nel contratto di rete una valida integrazione a forme più rodate e integrate di collaborazione industriale.

L’art. 3, comma 4 ter, del D.L. 5/2009 convertito in L. 33/2009 (e successive modifiche introdotte con L. 134/2012 e 221/2012) definisce gli scopi e afferma come  con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato” e in un tessuto come il nostro accrescere capacità di innovazione e competitività é fondamentale – e come visto – a volte quasi impossibile per problemi dimensionali.

Tratto fondamentale é come il contratto di rete, in forma light, garantisca la possibilità di mantenere la propria autonomia, salvaguardando così storia e identità così come la non presenza di vincoli legati a fattori territoriali, settoriali o dimensionali (il 27% dei contratti sono stipulati da aziende appartenenti ad altre regioni) e la garanzia di una governance privata che rende praticamente lo strumento estremamente flessibile e di conseguenza adattabile alle esigenze imprenditoriali.

La definizione del programma comune d’azione tra i partecipanti di una rete é identificato come un fattore positivo sia per la crescita comune delle aziende e sia per allargarne il raggio di azione, mentre la natura privatistica abbatte problematicità di natura gestionale e burocratica.

La bontà dello strumento e l’apprezzamento da parte della nostra classe imprenditoriale é proprio nei numeri e – come registrato da InfoCamere – al primo marzo 2015, il numero dei contratti di rete é aumentato in maniera considerevole e se ne contano 2012 per un coinvolgimento di oltre 10.000 su tutto il territorio nazionale.

Un importante caratteristica del contratto di rete é quella di essere uno strumento che instaura formalmente una collaborazione percepita in maniera strutturata dall’esterno (con banche e PA che considerano sempre di più il contratto di rete come una garanzia di affidabilità), gestita in maniera duttile e flessibile all’interno che garantisce inoltre un regime di maggiore trasparenza nelle relazioni con il sistema imprenditoriale.

Non é un caso che é la stessa Banca Europea degli Investimenti (BEI) ad essersi mossa a sostegno delle reti prevedendo un plafond di 100 milioni di euro destinato ai vari istituti di credito italiani

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Per quanto riguarda i comparti produttivi in cui la rete é più diffusa vanno menzionate attività manifatturiere (+32%), attività professionali tecnico-scientifiche (12%), costruzioni (10%) e commercio (8%).

Da un’analisi più approfondita dei contratti già in essere emerge poi come circa il 30% delle oltre 2.000 reti di impresa ha costruito il programma di rete con l’obiettivo specifico di favorire i processi di internazionalizzazione e le esportazioni delle imprese coinvolte principalmente nei settori meccanica e automazione, agroalimentare, servizi e consulenza.

Oltre ai numeri però ci sono anche i risultati perché come emerge da un’indagine qualitativa sui contratti di rete svolta dal Ministero dello Sviluppo Economico, su un campione di poco più di 300 aziende, emerge come le imprese che aderiscono ad un contratto di rete da almeno una nno hanno un aumento dell’export del 21,8%, percentuale che sale al 25,2% per le aziende in rete da meno di un anno.

Le principali attività messe a sistema per favorire l’internazionalizzazione vanno dai progetti per aumentare la penetrazione commerciale e il marketing dei prodotti di alta qualità all’estero alla condivisione di informazioni sui mercati e iniziative di formazione per il personale addetto, fino ad arrivare alla partecipazione a fiere e bandi dedicati.

Inoltre sono molte le iniziative da parte delle istituzioni pubbliche per sostenere e far sviluppare le reti di impresa finalizzate a export e internazionalizzazione anche a livello locale dove nel solo 2014 sono stati censiti circa 70 interventi da parte di regioni, enti locali e camere di commercio territoriali per supportare la nascita e il consolidamento delle reti di impresa.

In conclusione si può affermare che il contratto di rete rappresenta certamente una novità di assoluto rilievo e un’opportunità da cogliere ed approfondire anche perché come ha ricordato chiudendo i lavori lo scorso 11 maggio, il Presidente di RetImpresa Aldo Bonomi, bisogna lavorare insieme su progetti di sviluppo condiviso per garantire una prospettiva sostenibile perché ancora oggi “Piccolo é bello, ma insieme”.

Fonte: elaborazione a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

 

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