Della nuova India di Narendra Modi e del suo programma “Make in India” ci eravamo occupati più o meno un anno fa, partendo dalla sua lettera aperta agli investitori, ripresa dai maggiori quotidiani finanziari del mondo, nella quale aveva illustrato i suoi intenti in questi termini:

“Una giovane nazione con 800 milioni di persone sotto i 35 anni, ricca di ottimismo e fiducia. L’energia, l’entusiasmo dei giovani e l’impresa sono i punti di forza dell’India e la più grande missione del mio governo sarà quella di sprigionarne appieno le potenzialità.

Perseguiremo questa missione, eliminando leggi e regolamenti inutili, semplificheremo i processi burocratici, e il nostro governo sarà più trasparente, reattivo e responsabile.

Creeremo infrastrutture di livello mondiale, delle quali l’India ha urgente bisogno per accelerare la crescita e soddisfare i bisogni fondamentali delle persone. Renderemo le nostre città accoglienti, sostenibili e intelligenti; e faremo dei nostri villaggi i nuovi motori della trasformazione economica. “Make in India” é il nostro-impegno un invito a tutti, per trasformare l’India in un nuovo centro di produzione mondiale.

Faremo quello che serve per renderlo una realtà.”

Fin dall’inizio del suo mandato, Modi ha scommesso su un vasto ed ambizioso programma di riforme per favorire l’attrazione di investimenti esteri diretti (IDE) nel Paese che nel tempo si stanno concretizzando.

Recentemente infatti è stato lui stesso ad annunciare prima di partire per il G20 di Antalya monopolizzato dagli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi, la volontà di semplificare e migliorare la normativa indiana che disciplina gli investimenti internazionali in diversi settori (tra questi: difesa, costruzioni, televisione, aviazione, banche, assicurazioni, e-commerce, ferrovie, tecnologie elettroniche). L’intento è quello di promuovere un processo di liberalizzazione senza precedenti da troppo tempo assenti nel subcontinente.

Tra i focus principali della nuova politica indiana sugli IDE vi è la difesa, un campo delicato e strategico nel quale l’obiettivo è consentire gli investimenti stranieri fino al 49% andando ben oltre il limite attuale (24%) ed eliminando contestualmente la necessaria autorizzazione governativa prevista fino ad oggi.
L’apertura sarebbe ancora maggiore nel settore delle costruzioni, dove sarebbe consentito il 100% per realizzar centri commerciali e d’affari, senza particolari restrizioni o soglie minime di capitalizzazione.

La liberalizzazione passa soprattutto dal potenziamento dell’Ente indiano di Promozione degli Investimenti Esteri (FIPB) attraverso l’innalzamento della soglia massima nell’approvazione di progetti di investimento fino a un valore di circa 700 milioni di euro, ben oltre il limite attuale (422 milioni di euro) e la possibilità, in alcuni casi, di non prevedere la preventiva approvazione governativa per la conclusione di una Joint Venture come accade oggi.

Oltre al potenziamento di settori strategici dove è necessario essere capaci di attrarre know how e capitali, l’obiettivo è anche la valorizzazione di alcune produzioni “tradizionali” (caffè’, gomma, cardamomo, olio di oliva e olio di palma).

Nella visione di Modi la sfida da cogliere per l’India entro il 2017, è risalire la china nella classifica del Doing Business della Banca Mondiale e passare dall’attuale 130^ posizione, tra i primi 50 paesi dello speciale ranking.

Ruolo fondamentale è naturalmente quello dell’energia e con la Conferenza mondiale di Parigi sul Clima alle porte, momento cruciale per definire le sfide future per la comunità internazionale, la centralità dell’argomento si impone. E’ la stessa Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) a registrare come nei prossimi 20 anni, la più importante fonte di crescita della domanda di petrolio arriverà proprio dall’India così come si prevede che nello stesso orizzonte temporale il 20% dello sviluppo globale della domanda di energia solare sarà indiano.

Nella visione di Modi, le leve da azionare quali fondamenta necessarie per le ambizioni del Paese sono a giusta ragione la politica energetica e la politica commerciale internazionale e i passi intrapresi sembrano decisi e consapevoli.

La riprova di ciò viene anche da fonti vicine al Fondo Monetario Internazionale, dove emerge la convinzione che il Paese trarrà particolare beneficio dal processo di riforma degli investimenti internazionali in entrata nel Paese, che favorirà un considerevole calo del prezzo delle commodities e una crescita del PIL dell’India al 7,5% nel 2016.

Per quanto riguarda le relazioni con il nostro paese, escludendo la tragicommedia dei Marò dalla pessima regia e dagli effetti speciali spuntati, bisogna essere capaci di valorizzare al massimo le opportunità presenti.
L’interscambio commerciale nel 2014 è stato pari a 7,2 miliardi euro (+3,6% rispetto al 2013), con esportazioni italiane per oltre 3 miliardi di euro (+2,3%). Nei primi nove mesi dell’anno in corso l’interscambio cresce ancora (+6,9%) ed è pari a 5,5 miliardi di euro con un export italiano in valore per 2,4 miliardi di euro (+13,3%). A livello settoriale macchinari e beni strumentali rappresentano il 40% delle nostre vendite in India e il tessile-abbigliamento e gli accessori pelle il 25%.

Sono circa 400 invece le aziende italiane presenti in India (con una quota dello 0,62% e uno stock di circa 1,2 miliardi di euro) ed il nostro paese si colloca in 14esima posizione tra gli investitori. Un ruolo ancora non di primo piano quindi per le nostre imprese in quella che è divenuta ormai - dopo aver superato la Cina - la principale destinazione globale degli investimenti internazionali, con circa 30 miliardi di euro nel 2014-15 (+27%) ed una quota pari al 2,5% del totale globale.

Dati interessanti e a tratti incoraggianti, ma ancora al ben al di sotto rispetto agli stessi partner/competitor europei.

Le misure in cantiere, vanno nella direzione giusta, verso un processo di modernizzazione del Paese capace di affrontare le contraddizioni ed i limiti nello sviluppo del business in India al fine di poter finalmente liberare l’enorme potenziale di crescita e sviluppo del paese.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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