USA, Cina, Brasile, Giappone, India. Questi sono – generalmente – alcuni dei mercati su cui export manager ed imprenditori rivolgono le principali attenzioni quando si parla di espansione commerciale ed opportunità da cogliere al di fuori dei confini nazionali. Mercati molto diversi fra loro per cultura, livello di sviluppo economico e contesto normativo di riferimento ma che riescono per una serie di motivi a mantenere un elevato appeal internazionale ed attrarre capitali d’investimento.

Un mercato un po’ meno “cool” e dunque a volte messo in secondo piano è invece quello canadese che – pur essendo il secondo Stato al mondo per estensione territoriale – rimane uno sbocco commerciale interessante potendo contare su un bacino di circa 35 milioni di consumatori e producendo un PIL di circa 1628 miliardi dollari (2015).

L’Unione Europea si è resa conto che a Ottawa e dintorni ci sono ottime possibilità di fare business per le imprese del vecchio continente, anche in ragione dell’elevato reddito pro capite dei cittadini canadesi (45,900 dollari annui) e per questa ragione ha siglato il CETA, un importante accordo di libero scambio con il Canada, che potrebbe/dovrebbe entrare in vigore nei prossimi mesi.

I negoziati sono terminati già nell’agosto del 2014 ma ora la parola passa alle istituzioni comunitarie (Parlamento e Consiglio europeo) e soprattutto ai governi degli Stati membri dell’Unione che dovranno ottenere l’approvazione del testo sottoscritto dalle rispettive assemblee parlamentari. Gli addetti ai lavori sostengono che questo potrebbe essere, per la molteplicità di aspetti su cui esso va ad intervenire, il più grande accordo commerciale bilaterale di tutti i tempi.

Esso, nello specifico, porterà ad una serie di potenziali vantaggi per l’UE:

- Cancella circa il 99% dei dazi doganali producendo un risparmio di circa 500 milioni di euro annui per le imprese esportatrici europee;
- Garantisce il carattere non discriminatorio dei prodotti canadesi nell’Unione;
- Elimina le limitazioni nell’accesso agli appalti pubblici per le aziende europee in Canada;
- Introduce certezza, tutela e stabilità in materia di norme che regolano gli investimenti;
- “Apre” il mercato dei servizi canadese;
- Facilita il trasferimento temporaneo di personale societario e di prestatori di servizi tra l’UE e il Canada;
- Contribuisce ad impedire che le innovazioni, le opere d’arte, i marchi e i prodotti alimentari tradizionali dell’UE vengano copiati illegalmente in Canada. Ad esempio esso assegna all’Ue il riconoscimento di ben 145 Igp in Canada;
- Intende consolidare la cooperazione tra gli organismi di normazione europei e canadesi.

Nonostante l’accordo abbia una portata storica non mancano tuttavia le voci dissenzienti fra cui Ong ed ambientalisti che osteggiano l’entrata in vigore del CETA temendo che questo possa dare il via libero all’ingresso facilitato nel nostro mercato di prodotti come le carni con ormoni o Ogm.

D’altra parte i sostenitori dell’accordo sono fermamente convinti che esso rappresenti un volano di sviluppo da sfruttare per gli esportatori e gli investitori dell’UE decisi a fare affari e business con il Canada, capace fra l’altro di fornire un prezioso contributo ed una spinta positiva anche dal punto di vista occupazionale ad un mercato del lavoro che sta ancora tentando di riprendersi dalle turbolenze causate dalla crisi economica. Gli analisti ritengono che l’accordo potrebbe far crescere di circa il 25% l’interscambio commerciale UE-Canada e potrebbe generare un aumento diffuso della ricchezza in Europa quantificabile in 12 miliardi di euro annui.

Sul tema è recentemente intervenuto anche il nuovo Ministro dello Sviluppo Economico italiano, Carlo Calenda, che ha criticato la farraginosità delle procedure per la ratifica del trattato: “Il CETA deve essere ratificato da tutti i Parlamenti nazionali, che in tutto sono 38 visto che alcuni Paesi ne hanno più di uno, oltre che da quello europeo e dal Consiglio stesso all’unanimità. Ma cosa succede se un Paese non ratifica? Questo crea una grandissima incertezza e se crediamo che tutto possa saltare o restare appeso in attesa dell’approvazione di un Parlamento nazionale, questo rende abbastanza inutile negoziare”.

Il problema sollevato dall’ex Rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea non è di poco conto e riguarda la stessa governance delle istituzioni comunitarie che, per essere resa più efficiente e credibile nei confronti delle controparti, dovrebbe essere riformata. La questione è spinosa e di difficile risoluzione come spesso accade quando entrano in ballo questioni che ineriscono cessioni di sovranità nazionale cui i Paesi dell’Unione si dimostrano sempre piuttosto restii.

Dalla prospettiva italiana in ogni caso il Canada rimane un partner strategico che sta pian piano assumendo una importanza crescente ed in effetti nel 2015 l’interscambio bilaterale fra i due Paesi è stato piuttosto consistente (10 miliardi di dollari) ed oggi il Belpaese occupa l’ottava posizione nel ranking dei fornitori canadesi.

Solo il tempo e le evoluzioni nel processo di ratifica del CETA sveleranno l’effettiva portata che il trattato potrà avere sull’economia dell’UE e se, eventualmente, questo accordo potrà fungere da apripista per l’altro grande trattato commerciale, attualmente ancora in fase di negoziazione fra UE e USA, il TTIP.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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