A venti giorni dall’inaspettato esito del referendum, è nato il nuovo esecutivo britannico affidato al Primo Ministro Theresa May, che nel suo discorso di insediamento non ha quasi mai parlato del referendum, ma ha posto l’accento sulle enormi differenze sociali alla base del voto ed alla necessità di riforme che pongano rimedio alla situazione.

Il nuovo governo Tory vede la presenza nei ministeri chiave di importanti esponenti del Leave: Ministro degli Esteri è stato nominato Boris Johnson, acceso sostenitore della Brexit, per la quale è stato creato un apposito Ministero (Department for Exiting the European Union) affidato a David Davis, che dovrà portare avanti le trattative con l’Unione Europea per stabilire le modalità di uscita del Regno Unito dalla UE (sempre ammesso che ci sia).

Ministero nuovo di zecca anche quello per il Commercio Internazionale, affidato a Liam Fox anch’egli convinto sostenitore della Brexit.

Gli scenari post Brexit

Intanto, fuori dalla Gran Bretagna si fanno ipotesi sulle possibili ripercussioni della Brexit sulle economie dei diversi Paesi. Una cosa è certa: gli effetti potranno essere valutati solo nel lungo periodo e dipenderanno dall’effettiva uscita del Regno Unito dalla UE e dalle modalità con le quali ciò avverrà (non è escluso, infatti, che si proverà a preservare gli attuali accordi relativi al mercato libero).

Le trattative (lunghe 2 anni) potrebbero, infatti, riservare sorprese e magari portare ad accordi che tutelino in qualche modo gli scambi commerciali da e verso il Regno Unito. Nell’immediato, un fattore molto concreto che potrebbe incidere negativamente sull’export è la svalutazione della sterlina che significherebbe un esborso maggiore di denaro per acquistare merci di provenienza estera, rendendole di conseguenza meno convenienti ed attrattive di quanto non lo siano oggi.

Basti pensare che nel periodo migliore della moneta di Sua Maestà (a luglio 2015), bastavano 69 sterline per ottenere in cambio 100 euro, oggi ne servono quasi 84, una quotazione che porta indietro la Gran Bretagna di quasi tre anni. Un esborso di denaro, comunque, non indifferente in uno scenario come quello disegnato da Mr. Carney, Governatore della Bank of England, secondo il quale: “È evidente che diversi rischi si stanno consolidando. Mantenere la stabilità finanziaria nel Regno Unito si preannuncia come una sfida. La prospettiva è di un rallentamento concreto dell’economia del nostro Paese”.

Le conseguenze per l’export italiano

Il valore dell’interscambio di beni e servizi tra Italia e Uk nel 2015 è stato di 33,5 miliardi di euro per un valore delle esportazioni tricolore di 22,3 miliardi di euro in crescita di quasi il 7% sul 2014 (ed in crescita costante nell’ultimo triennio). L’Italia esporta nel Regno Unito soprattutto autoveicoli e loro componenti, medicamenti, vini, mobili, valigeria, rubinetteria, paste alimentari e conserve di pomodori, componentistica aereo-spaziale, macchine industriali, formaggi e latticini. A crescere particolarmente nel 2015 è stato l’export di vini (+13%) e quello di mobili (+14%).

Il Regno Unito rappresenta il 5,4% dell’export italiano ed è evidente che un crollo degli scambi sarebbe un altro duro colpo da assorbire dopo quello ricevuto a causa dell’embargo russo.

La regione maggiormente esposta è la Lombardia che rappresenta il 27% del valore dell’interscambio tra i due Paesi (9 miliardi di euro) ed il 25% delle esportazioni nazionali (5,3 miliardi di euro) di macchinari. Seguono il Veneto con poco meno di 3,5 miliardi di euro, l’Emilia Romagna (con un valore molto simile), il Piemonte (2,3 miliardi di euro), la Toscana (1,8 miliardi) e il Lazio (un miliardo).

Al sud le ripercussioni maggiori le subirebbe la Basilicata che invia in Gran Bretagna il 15% delle sue esportazioni, soprattutto autoveicoli a marchio FCA, made in Melfi.
Secondo SACE, gruppo assicurativo-finanziario attivo nell’export credit, l’export italiano si ridurrebbe nel 2016 per una quota compresa tra i 200 ed i 500 milioni di euro, rimanendo su valori positivi, ma in evidente contrazione.

Gli effetti più seri e preoccupanti si manifesterebbero, invece, nel 2017 quando il calo dell’export dovrebbe assestarsi tra il 3 ed il 7% per un valore compreso tra 600 milioni e 1,7 miliardi di euro.

Il crollo riguarderebbe tutti i settori, ma i primi a risentirne sarebbero quelli dei mezzi di trasporto e della meccanica strumentale, seguiti in una seconda fase, ma con effetti marginali, dai generi alimentari, dalle bevande e dal tessile.

L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea impatterebbe sul sistema delle esportazioni italiane non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello “burocratico” a causa dell’introduzione di nuovi dazi ed adempimenti doganali (magari oggetto di future trattative in modo da ridurne il più possibile l’impatto), richieste di certificazioni e documentazioni preventive, e soprattutto delle modifiche al sistema dei pagamenti e delle spedizioni visto che la libera circolazione di merci e capitali è uno dei pilastri su cui si fonda l’Unione Europea.

Questi ostacoli potrebbero, forse, essere aggirati in caso di stipula del TTIP (l’area di libero scambio che coinvolgerebbe USA, UE e Regno Unito appunto) i cui negoziati, però, sono ben lungi dal concludersi a causa delle differenze di vedute tra UE e USA e delle diverse posizioni all’interno della stessa Unione Europea tra Germania, Francia, Spagna ed Italia.

In ultimo da non sottovalutare gli effetti sull’ecommerce: il Regno Unito è il primo mercato europeo per un valore stimato di 122 miliardi di euro, il 27% del totale (450 miliardi di euro).

Una variazione del quadro normativo di riferimento che portasse all’introduzione di nuove barriere tariffarie e strategiche, inciderebbe non poco sulle quote di mercato attualmente detenute dai Paesi dell’Unione Europea.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesco Bromo, redazione@exportiamo.it

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