In Turchia gli investimenti e più in generale l’economia nel suo complesso stanno vivendo una fase difficile. A confermarlo sono i dati provenienti dal turismo, fonte storica d’afflusso di capitali stranieri, che ha subito, dopo i recenti attacchi terroristici all’interno del Paese, una flessione costante.

Le entrate derivanti dal settore turistico sono infatti diminuite del 36% (!) nel secondo trimestre del 2016.

La forte instabilità interna ha assunto una rilevanza economica crescente dopo il tentato colpo di stato del mese di luglio, che ha provocato un declassamento del Paese per mano delle due fra le più importanti agenzie di rating internazionale, Standard and Poor’s e Moody’s.

La risposta dell’amministrazione turca al tentativo di golpe è stata caratterizzata da un preoccupante autoritarismo sfociato in un’incredibile ondata di incarcerazioni alle quali potrebbe seguire una modifica della Costituzione del Paese e ciò ha inevitabilmente contribuito ulteriormente a creare dubbi ed incertezze fra gli investitori internazionali.

Il risultato di questa situazione è stata una recrudescenza della posizione economica della Turchia ed oggi il governo locale deve affrontare uno dei classici dilemmi che sorgono quando si verifica una consistente fuga di capitali da un territorio ovvero scegliere fra maggiore inflazione e aumento della disoccupazione.

Una politica monetaria più restrittiva potrebbe evitare deflussi di capitali, aumentando i rendimenti degli investitori che detengono la lira turca ma potrebbe anche rallentare la crescita economica (è già previsto che non avverrà il raggiungimento degli obiettivi programmati per il prossimo triennio) e far salire la disoccupazione.

Il tasso di disoccupazione turco, ora al 10,7%, salirà nel prossimo quinquennio ed il governo vorrebbe scongiurare questa eventualità, socialmente e politicamente non auspicabile.

Ci sarebbe un’altra opzione a disposizione dell’amministrazione – che nel frattempo ha deciso di abbassare i tassi di interesse per cercare di sostenere la crescita – ma anche questa appare altrettanto problematica. La lira turca è già ai minimi storici, e anche se ciò non ha ancora portato alla creazione di un’elevata inflazione, è difficile immaginare che questo stato di cose sussista ancora a lungo, soprattutto se si considera che la Banca Centrale turca ha tagliato i tassi in sette dei suoi ultimi otto incontri mensili.

Inoltre il pericolo maggiore lo stanno correndo tutte quelle aziende che si sono impegnate nel pagamento delle obbligazioni societarie in dollari (gli investitori nelle imprese turche hanno $68,4 miliardi di dollari in tali obbligazioni).

A questo punto, per la Turchia, l’unico modo per ritrovare un suo equilibrio sarebbe quello di trovare un modo di favorire un afflusso di capitali di investimento stranieri. Per portare a casa questo risultato sarebbe però necessario un ripensamento ed un ammorbidimento della posizione geopolitica della Turchia, cosa che non sembra nelle intenzioni di Erdogan.

Un’altra strada percorribile potrebbe essere quella di perseguire un aumento delle esportazioni e del saldo commerciale (nel 2015, le esportazioni hanno costituito il 28% cento del PIL e state sono dunque state inferiori alle importazioni pari al 31% della ricchezza nazionale complessiva) che potrebbe a sua volta generare “afflussi naturali” di capitale.

Nessuna di queste eventualità sembra però di facile realizzazione soprattutto in un orizzonte di breve termine e per questo il futuro politico ed economico della Turchia continua ad essere piuttosto difficile da decifrare.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Diva Bartaletti, redazione@exportiamo.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pubblicità
  • Digital Export manager
  • Missione Commerciale in Sud Africa
  • Yes Connect
  • CTrade

Hai un progetto Export? Compila il Form

Pubblicità
  • Servizi Digital Export
  • FDA
  • Exportiamo Academy
  • Esportare in Canada
  • Uffici negli USA
  • Missione Commerciale in Sud Africa
  • Sito Web
  • CTrade
  • Vuoi esportare in sudafrica?