Manca ormai meno di un anno dal giorno in cui il Regno Unito formalizzerà il suo abbandono dall’Unione Europea anche se ancora deve essere fatta chiarezza su quello che accadrà all’indomani della separazione fra Londra e Bruxelles, che potrebbe avere ripercussioni importanti anche sull’economia del Belpaese.

Il 29 marzo 2019 sarà il giorno x, quello in cui sarà effettivamente messa in pratica la volontà espressa dalla maggioranza dei cittadini britannici il 23 giugno 2016. Saranno dunque trascorsi quasi tre anni da quello che, a caldo, era stato definito da molti analisti come un evento che avrebbe potuto cambiare il destino del Vecchio Continente e di tutto l’Occidente.

La situazione odierna è però ben diversa ed al momento c’è ancora grande attesa di conoscere quelli che saranno i dettagli della Brexit, quali clausole e concessioni saranno inserite e che tipo di relazione politica e commerciale si andrà ad instaurare fra i 27 Paesi europei e la Gran Bretagna.

Secondo Michel Barnier, capo negoziatore europeo in tema di Brexit, “è stato già raggiunto in larga misura un accordo fra le due parti” circa il periodo di transizione che seguirà l’uscita di Londra dalla comunità europea. Tuttavia, nei prossimi mesi, sono previsti una serie di passaggi che non possono essere ignorati e che avranno inevitabilmente effetti sull’attuazione degli accordi

In primo luogo il prossimo 17 aprile è convocata una riunione fra i vari ministri degli Affari europei in cui saranno delineate le prossime mosse da compiere specialmente in vista del summit che si terrà a Bruxelles a fine giugno (28-29). Infine fra il 18-19 ottobre si terrà una nuovo importante incontro a livello europeo che dovrebbe essere risolutivo sia per quel che riguarda il periodo di transizione sia per quel che concerne i termini veri e propri dell’abbandono di Londra dall’Ue. L’accordo però dovrà essere avallato dagli Stati membri, dall’Europarlamento e dal parlamento britannico e dunque le sorprese potrebbero essere dietro l’angolo.

Comunque dal prossimo 29 marzo il Regno Unito, pur trovandosi costretto ad osservare per un certo periodo (fino al 31 dicembre 2020) di tempo le norme UE, avrà la libertà di negoziare firmare e ratificare nuovi accordi commerciali con Paesi terzi ma non potrà in nessun caso procedere alla loro applicazione.

In sostanza durante questo periodo Londra non avrà alcun potere decisionale all’interno della Ue ma dovrà sottostare alle sue regole, continuando a far parte del mercato unico e dell’unione doganale. Ciò si evidenzia anche da quelle che sono state le decisioni prese in materia di pesca (i pescatori Ue manterranno la stesso accesso alle acque britanniche) e sulle norme che riguardano i cittadini europei nel Regno Unito che continueranno ad avere le stesse garanzie e gli stessi diritti dei cittadini britannici.

Infine, dal 1 gennaio 2021, se tutto andrà secondo i piani, entrerà in vigore una “nuova relazione ufficiale” fra Londra e Bruxelles (ratificata dall’ok dei singoli parlamenti nazionali) e così il Regno Unito otterrà finalmente la facoltà di poter applicare gli accordi commerciali con Paesi terzi.

Infine è stata rimandata la spinosissima discussione dei confini nordirlandesi, certamente uno dei punti di scontro più acceso tra le due parti: per il momento l’Irlanda del Nord continuerà a far parte del mercato unico e dell’unione doganale in attesa che le parti trovino una soluzione alternativa.

E l’Italia?

Gli effetti economici della Brexit sull’Italia ci saranno, anche se non è semplice capire quali saranno i vantaggi e quali gli svantaggi senza conoscere nel dettaglio i termini dell’accordo cui giungeranno le parti.

Oggi comunque il Regno Unito rappresenta il 5° mercato di destinazione dell’export italiano per un valore che, nel 2017, ha superato i 23 miliardi di euro. Anche se secondo Standard&Poors l’Italia è uno dei Paesi che risentirà meno degli effetti della Brexit (il nostro interscambio di beni e servizi con il Regno Unito è intorno al 3% del Pil) è possibile che essa inneschi una serie di meccanismi da non trascurare.

In primo luogo un sostanzioso indebolimento della moneta britannica sull’euro finirebbe per penalizzare le esportazioni italiane, rendendole di fatto meno convenienti per i consumatori britannici.

In secondo luogo, secondo alcuni, l’abbandono di Londra comporterebbe minori entrate per le casse europee e per questa ragione potrebbero essere richiesti versamenti aggiuntivi ad una serie di stati, fra cui il Belpaese.

Detto ciò l’esperienza insegna che è bene aspettare l’evolversi della situazione prima di trarre conclusioni affrettate anche perché oggi i rischi per l’export italiano sembrano molto più limitati rispetto a quelli prospettati subito dopo l’esito del referendum del 26 giugno 2016.

Sembra però certo che la bilancia commerciale fra Italia e Regno Unito sia destinata a rimanere ampiamente favorevole al nostro Paese anche negli anni a venire con mezzi di trasporto, macchinari, abbigliamento e prodotti agroalimentari che continueranno ad essere in cima alle preferenze dei consumatori britannici, sempre più affascinati dalle produzioni Made in Italy.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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