Internazionalizzazione d’impresa: quanto contano le risorse umane?

Internazionalizzazione d’impresa: quanto contano le risorse umane?

07 Giugno 2018 Categoria: Marketing Internazionale

Le aziende che decidono di internazionalizzarsi devono necessariamente confrontarsi con Paesi, culture, e modi di lavorare diversi dai propri. Saper gestire le risorse umane internazionali coinvolgendo persone provenienti da culture diverse nella strategia aziendale è di fondamentale importanza per assicurare la buona riuscita del processo di internazionalizzazione stesso.

Internazionalizzare significa in primo luogo entrare in contatto con contesti culturali e istituzionali diversi da quello domestico. Nella creazione di un rapporto commerciale in un altro Paese non sono quindi da sottovalutare gli aspetti culturali, ovvero gli usi e i costumi, i comportamenti quotidiani e i codici non scritti che regolano i comportamenti interpersonali e l’impatto che questi possono avere sull’organizzazione delle aziende.

Un aspetto fondamentale ma spesso sottovalutato nei processi di internazionalizzazione è la gestione delle risorse umane internazionali e delle problematiche ad essa connesse. La gestione del personale, infatti, da una parte influenza in modo sensibile il processo d’internazionalizzazione delle aziende, indipendentemente dalla modalità utilizzata (sia essa semplice esportazione o investimento diretto estero); d’altra parte, è influenzata da tale processo, tant’è che spesso gli insuccessi nelle strategie di internazionalizzazione delle imprese derivano proprio dalla mancata “sincronia” tra la predisposizione di tali strategie e l’adeguata preparazione delle risorse umane destinate a realizzarle.

Chi sono le “Risorse Umane Internazionali”?

Quando ci si riferisce alle risorse umane internazionali si parla di una varietà eterogenea di persone che lavorano all’interno dell’organizzazione:

  • risorse basate nel proprio Paese o membri di team multiculturali con un focus sui mercati internazionali;
  • espatriati che portano la cultura organizzativa della casa madre e ricoprono incarichi di lungo termine in cui rappresentano l’azienda in alcuni Paesi stranieri;
  • risorse locali che lavorano nelle sedi estere;
  • risorse straniere che lavorano nella sede principale.

Va da sé, quindi, che occuparsi di gestione delle risorse umane in chiave internazionale limitandosi ad analizzare le situazioni nelle quali le imprese sviluppano il proprio business all’estero sarebbe riduttivo, dal momento che anche organizzazioni completamente “italiane” nel loro mercato di sbocco e nella loro localizzazione si trovano spesso a gestire una forza lavoro composita e multiculturale.

Così come appare evidente che il tema dell’internazionalizzazione delle risorse umane non è strettamente limitato alle multinazionali ma riguarda da vicino anche le Pmi. Anzi, c’è di più: come sostiene uno studio di Unioncamere un po’ datato ma pur sempre attuale (Internazionalizzazione e Territorio, 2001) la carenza di risorse umane qualificate nel gestire i processi di internazionalizzazione è all’origine dell’incapacità di molte PMI perfino di intraprendere processi di internazionalizzazione. Al di là delle dimensioni o della propensione all’export, la presenza di risorse umane qualificate e pronte ad affrontare i mercati esteri è dunque una discriminante essenziale per la realizzazione del progetto di internazionalizzazione stesso, poiché è proprio nelle imprese di ridotte dimensioni che il capitale umano si impone come fattore selettivo per il passaggio dell’impresa al mercato internazionale, in grado anche di supplire alle imperfezioni organizzative e finanziarie.

Sviluppo di competenze e formazione, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza delle lingue, la conoscenza del mercato estero e della sua cultura e istituzioni sono pertanto aspetti cruciali sui quali le aziende che vogliono andare all’estero devono investire.

Sviluppare le competenze hard e soft

Gestire le risorse umane internazionali significa coordinare tutta questa varietà di popolazione aziendale, contribuendo al raggiungimento dei risultati aziendali, ricercando coerenza e consentendo allo stesso tempo flessibilità, superando barriere diverse e complesse come le barriere legali, politiche e culturali. Significa occuparsi di temi globali che servono a coinvolgere persone provenienti da culture diverse nella strategia aziendale, cercando appunto di costruire le competenze strategiche che differenziano l’azienda e ne determinano il vantaggio competitivo. Altro aspetto importante è la promozione di iniziative per lo sviluppo dei talenti e del brand aziendale, in modo che le persone possano identificarsi nell’immagine e nella reputazione aziendale, sviluppando idee nelle quali le persone sparse in tutto il mondo possano riconoscersi e in tal modo supportare attivamente il brand stesso.

Le competenze necessarie per affrontare in maniera efficace e consapevole il tema sono distinguibili in competenze hard e competenze soft.

Con competenze hard si fa riferimento alla conoscenza e al possesso degli strumenti necessari a gestire il rapporto di lavoro di un collaboratore che vive e lavora all’estero. La gestione di un lavoratore expatriate, ad esempio, pone rilevanti problematiche relative alla composizione del pacchetto retributivo (e.g. definizione di benefit, indennità, adeguamenti fiscali). Nel caso in cui, invece, l’azienda decida di acquisire forza lavoro locale nel Paese estero in cui opera, emerge la necessità di conoscere, ad esempio, la legislazione sul lavoro, il sistema di relazioni industriali, le regole per l’assunzione e il licenziamento.

Con competenze soft si fa riferimento alla conoscenza dei modelli culturali che caratterizzano persone provenienti da Paesi differenti, ovvero di aspetti come la percezione del tempo e dello spazio, nonché la distanza di potere o l’avversione all’incertezza, che permeano necessariamente la vita personale e lavorativa delle persone, e che possono avere conseguenze rilevanti nella gestione dei rapporti con i collaboratori. Ad esempio, in Paesi a basso livello di individualismo (es. Cina, Corea del Sud, Singapore) l’adozione di forme di incentivo basate sulla valutazione individuale potrebbe non risultare efficace perché i lavoratori si identificano con il gruppo, a differenza di Paesi (es. Stati Uniti, Australia, Svezia) nei quali il successo del singolo e la competizione sono positivamente considerati nella società.

La gestione delle risorse umane internazionali ovviamente non è semplice perché non si tratta solo di integrare culture, a volte molto differenti, ma anche ridisegnare i processi, le strutture organizzative e le procedure di funzionamento e definire gli elementi valoriali che devono ispirare il comportamento di tutti i collaboratori. Tuttavia il gioco vale la candela perché una mancata integrazione culturale potrebbe mettere in discussione la buona riuscita del progetto di internazionalizzazione stesso.

Fonte: a cura di Exportiamo, Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it

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