Se il mondo vuole evitare una catastrofe climatica, saranno necessari milioni di dollari di investimenti sostenibili ogni anno da qui al 2050. Gli investitori hanno già dimostrato un forte appetito per i “green bond” che finanziano progetti ambientali e di questi esiste anche un’alternativa conforme alla Shari’a, simile a un’obbligazione, che possa essere incanalata verso investimenti ambientali.

Finanza Islamica” sembra un po’ un ossimoro, eppure si tratta di un mercato che sta crescendo a dismisura negli ultimi anni.

La legge islamica, la Shari’a, proibisce ciò che è noto come “riba’” o ciò che intendiamo come “interesse“. Pertanto, i tradizionali strumenti di debito occidentali non possono essere utilizzati come veicoli di investimento o modi per raccogliere capitali. Per aggirare questo ostacolo sono stati creati i Sukuk.

Sukuk è il plurale della parola araba Sakk il cui significato è “certificato”: il Sakk, infatti è un certificato di investimento, conforme alla Shari’a, assimilabile ad un’obbligazione nella finanza occidentale. Tuttavia, mentre i sottoscrittori delle obbligazioni sono titolari di un diritto di credito, i possessori di “Sukuk” acquistano pro quota la proprietà dei beni e, a differenza di quanto avviene per le obbligazioni tradizionali, le quali garantiscono un rendimento prefissato, i Sukuk seguono il principio del profit and loss sharing: l’utile percepito dipende dall’andamento del bene, non essendoci nessun tipo di interesse garantito. Di conseguenza, la remunerazione del “Sakk” non è un dividendo, né un interesse, ma una quota del reddito che l’asset sottostante produce.

I Sukuk sono diventati estremamente popolari dal 2000, quando il primo Sakk è stato emesso dalla Malesia. Il Bahrain ha seguito l’esempio nel 2001. Avanzando rapidamente fino al giorno d’oggi, i Sukuk risultano utilizzati dalle società islamiche e dalle organizzazioni statali allo stesso modo, occupando un’ampia fetta del mercato obbligazionario globale. Nell’arco di 15 anni circa, le emissioni sono arrivate a sfiorare mille miliardi di dollari.

Green Sukuk: un mercato in grande ascesa

I sukuk dunque sono strettamente legati all’economia reale e vengono usati per finanziare attività che siano Sharī‘a – compliant. A differenza delle obbligazioni, devono corrispondere ad un certo progetto, di solito un progetto immobiliare o infrastrutturale, ma negli ultimi anni hanno guadagnato terreno anche i cosiddetti Green Sukuk, utilizzati per finanziare iniziative ecosostenibili, come ad esempio la produzione di energia rinnovabile, la gestione dei rifiuti, l’agricoltura sostenibile, la costruzione di edifici efficienti dal punto di vista energetico, la gestione delle risorse naturali o altri progetti volti a mitigare i rischi del cambiamento climatico.

Il primo Green Sakk è stato emesso nel 2017 in Malesia - dove era stato emesso il primo Sakk convenzionale - dal gruppo Tadau Energy che ha raccolto 58 milioni di dollari per finanziare un impianto alimentato ad energia solare.

L’Indonesia invece, nel 2018, ha emesso il primo Green Sakk al mondo come titolo sovrano, coinvolgendo banche, asset manager e fondi pensionistici asiatici, americani ed europei. Il progetto del valore di 1,25 miliardi di dollari ha finanziato diversi servizi pubblici come la realizzazione di centrali fotovoltaiche, la costruzione di una ferrovia a doppio binario per ridurre l’impatto del trasporto su strada, ed ha consentito di apportare enormi miglioramenti al sistema di gestione dei rifiuti. Oltre a ridurre l’impatto ambientale, questi progetti hanno assecondato anche la crescita economica e lo sviluppo infrastrutturale del Paese.

Anche nei Paesi del Golfo comincia ad esserci un certo fermento.

Nel 2019 Majid Al Futtaim, una retail company basata negli EAU ha raccolto 600 milioni di dollari con il primo Green Sakk nella regione, seguito da un altro Green Sakk del valore di 1 miliardo di dollari emesso dalla Banca di Sviluppo Islamica - che ha sede in Arabia Saudita - per finanziare progetti di energia rinnovabile, trasporti green e misure di prevenzione dell’inquinamento tra i suoi Stati membri.

Poco meno di un mese fa la compagnia petrolifera statale Saudi Electricity ha emesso un Green Sakk a 5 e a 10 anni del valore di 1,3 miliardi di dollari: si tratta del primo sakk emesso da una società saudita.

Diviso in due tranches, il sakk è composto da 650 milioni di dollari di certificati che matureranno nel 2025, mentre i rimanenti 650 milioni matureranno nel 2030.

I proventi serviranno a finanziare l’installazione di contatori intelligenti, secondo quanto previsto da un programma nazionale che fa parte dei progetti di trasformazione digitale e sostenibilità dell’azienda. Inoltre, serviranno a facilitare la transizione del Regno verso un’economia low-carbon, in accordo con lo schema “Saudi Arabia’s Vision 2030”, introdotto nel 2016 per ridurre la dipendenza dell’Arabia Saudita dal petrolio e diversificare la propria economia puntando al miglioramento dei servizi pubblici in diversi settori come la sanità, l’istruzione, le infrastrutture, il turismo e la cultura.

Tutto ciò lascia intuire come le opportunità in questo settore si stiano moltiplicando sempre più, anche perché, come stimato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, la domanda di energia aumenterà considerevolmente nei prossimi 20 anni e perciò saranno necessari investimenti significativi per far fronte a tale aumento.

Per esempio, l’AIE prevede che la domanda di energia, entro il 2040, aumenterà di quasi due terzi nel Sud-Est asiatico, e del 45% in Medio Oriente. Oltretutto, anche il mix energetico sta cambiando visto che molti Paesi puntano ad un sempre maggiore contributo dell’energia pulita. Molti Paesi in cui prevale la finanza islamica hanno fissato obiettivi ambiziosi: ad esempio, gli stati dell’ASEAN hanno l’obiettivo di aumentare il peso relativo delle energie rinnovabili nel loro mix energetico al 23% entro il 2025.

Allo stesso modo, anche molti Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) stanno valutando di investire nelle energie rinnovabili. Per esempio, Dubai punta ad un mix di energie rinnovabili del 75% entro il 2050, mentre l’Arabia Saudita ha espresso l’intenzione di costruire un gigantesco impianto fotovoltaico da 200 miliardi di dollari, che una volta completato entro il 2030 avrà una capacità di generazione annua di 200.000 MW.

La crescente domanda di più energia pulita o rinnovabile significa che i paesi dell’ASEAN e del CCG dovranno attrarre ingenti investimenti in progetti di energia rinnovabile nei prossimi anni, e se le banche finora hanno tradizionalmente assunto un ruolo di primo piano in progetti di questo tipo, è ragionevole aspettarsi che oggi invece questi possano trovare fonte di finanziamento nei Green Sukuk.

La domanda di prodotti di investimento conformi alla Shari’a è, effettivamente, elevata, essendo gli investitori molto sensibili a tematiche afferenti l’ambiente, lo sviluppo sostenibile e la green economy poiché la legge islamica contiene un quadro etico profondamente radicato di interesse per l’ambiente e per i suoi diversi abitanti.

La finanza islamica oggi dovrebbe integrare questi insegnamenti nei suoi processi di revisione etico-legale in campo ambientale. Uno dei modi in cui può farlo è adottare degli investimenti socialmente responsabili, che possono essere utilizzati per sostenere l’attuazione di una politica sostenibile nel rispetto dei valori dell’Islam, utilizzando gli strumenti finanziari Sharī‘a – compliant, soddisfacendo i propri bisogni e contribuendo al bene della società̀.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Cristiana Oliva e Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it

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