Nelle ultime settimane l’opinione pubblica é stata monopolizzata dai sempre più frequenti e diffusi scontri tra immigrati e residenti nei quartieri periferici delle nostre città. Senza entrare troppo nel merito appare evidente come sia frutto di irresponsabilità e incapacità di gestione oltre che di irresponsabili azioni politiche da parte di chi getta benzina sul fuoco: un sintomo ulteriore del disfacimento sociale che si intravede all’orizzonte se non si riesce davvero a dare la #svoltabuona, non solo su social network e giornali ma nella quotidianità delle persone, sempre più senza speranze.    

Un argomento che guadagna il favore delle cronache – con altrettanta facilità anche per la consapevolezza sempre maggiore della perdita secca per il nostro paese - é il fenomeno volgarmente noto come “fuga dei cervelli” che assume proporzioni sempre più rilevanti rendendo l’Italia un “esportatore netto di talenti”.           

Il dato é ormai consolidato e tra i protagonisti di questo esodo verso lidi dai climi spesso più grigi – perché in fondo il nostro troppo sole rispetto alla media é parte del nostro male - ci sono molti “alti profili” alla ricerca di stabilità e più in generale di una vita degna e compiuta.

 

Se in patria non vieni valorizzato o meglio vieni sfruttato e la frustrazione aumenta giorno dopo giorno, l’unica via é vista nella fuga.

 

Naturalmente non si può non tenere conto di come in un mercato del lavoro altamente internazionalizzato, passare un periodo all’estero, per studio o lavoro, sia ormai quasi normale.

I flussi dovrebbero però compensarsi anche e soprattutto con l’obiettivo di forgiare una nuova coscienza europea che travalichi gli stretti e a volte insormontabili (soprattutto dal punto di vista mentale) confini nazionali.      
 
Brain drain

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Gli “scambi di cervelli” sono co-essenziali a tutte le economie e rappresentano una componente dei più complessi flussi di beni, informazioni e capitali tra le economie avanzate.

Se il flusso netto é positivo si parla di brain gain, se é negativo di brain drain.         

E’ intuitivo come le migrazioni qualificate producono effetti negativi per i Paesi da cui i flussi hanno origine poiché il brain drain genera un abbassamento del livello di capitale umano del paese, oltre a non dar seguito agli investimenti formativi sui nostri talenti e trasformare le cosiddette “esternalità” da potenzialmente positive ad effettivamente negative.         

Secondo le stime dell’OCSE la spesa annuale per studente universitario in Italia nel 2009 é di circa 6.500 euro. Sono stati 6.552 i laureati italiani che nel 2008 hanno trasferito la propria residenza all’estero, la moltiplicazione é semplice e considerando una media di 4 anni di istruzione universitaria per studente si arriva a circa 170 milioni di euro, senza considerare le mancate entrate fiscali e tutto il resto. 

Se il fenomeno é in aumento le perdite per il tanto decantato “Sistema Paese” altrettanto e i dati dell’Associazione Italiana Residenti all’EsteroAIRE lo confermano.

 

Anche il 2013 ha visto crescere l’emigrazione ufficiale italiana verso l’estero e si contano 94.126 connazionali espatriati (+ 19,2% rispetto al 2012 anno nel quale la crescita era stata pari al 30%). Dato ancora più evidente della crescita del fenomeno é il fatto che in due anni, dal 2011 quando si contavano 60.635 espatriati, si é registrato un incremento del 55%.

 

La meta preferita dagli italiani é stata la Gran Bretagna con 12.904 espatri ufficiali (+ 71,5% rispetto al 2012) soprattutto compresi nella fascia di età 20-40, più numerosi i 20-30enni (4.351), rispetto ai 30-40enni (4.136).

Più in generale gli “under 40″ italiani fanno registrare una sempre maggiore propensione alla fuga: lo scorso anno sono emigrati in 45.516. In percentuale, il 48,3% sul totale. Praticamente uno su due e questo é naturalmente il dato che preoccupa di più e al contempo impoverisce di più il “Bel Paese”.

Come segnala il blog “La fuga dei talenti” i numeri raddoppiano se si considera che tutte le indagini a campione concordano sul fatto che solo un italiano su due emigrato si iscrive ai registri ufficiali. Il flusso annuo di italiani in uscita verso l’estero é quindi stimabile intorno alle 190.000 unità.

Perché partire?

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Alla base della fuga vanno annoverati fattori economici e sociali a partire dalla mancata crescita del PIL italiano all’alto tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) e non, per finire alla costante crescita dei contratti temporanei precari e non flessibili come si dovrebbe (in attesa dei miracoli del “Jobs Act”…) e all’aumento del fenomeno del “sottoinquadramento” oltre all’italica allergia agli investimenti in ricerca (1,26% del PIL contro una media UE del 2%).

 

La politica nel tempo ha cercato di ovviare a questo problema e tra il 2001 e il 2008 sono state previste risorse per il ritorno di ricercatori residenti all’estero ma i risultati sono stati poco soddisfacenti anche per la mancanza di una strategia organica vera e propria che assicuri garanzie per il futuro del paese.

 

Il rovescio della medaglia é il fatto che per gli stessi motivi per cui si emigra non si riescano ad attrarre cervelli stranieri e tutto ciò ci penalizza in una realtà globale caratterizzata da una competizione serrata e da ritmi frenetici.

 

Questa volta non é colpa della Globalizzazione…

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Sul sito del “Fatto Quotidiano” é presente una sezione intera dedicata al fenomeno “Cervelli in fuga” ed é presente una mappa interattiva  con i cervelli tricolori in fuga dislocati sul globo terracqueo. E’ molto interessante notare come il genio italiano arrivi dovunque nel mondo e come molti dei “Cervelli in fuga” italiani siano ricercatori e accademici ma c’é anche chi si muove per trovare migliori opportunità di lavoro e stipendi più alti.

Sicuramente la ratio profonda che spinge a lasciare il proprio paese, quasi sempre a malincuore, é l’esigenza di vivere dove merito e competenze sono valorizzati, a scapito di raccomandazioni e burocrazia.

Francesco Delzìo nel suo ultimo pamphlet - come ama definire le sue fatiche letterarie – “Opzione Zero. Il virus che tiene in ostaggio l’Italia” analizza le diverse “Opzioni Zero” che hanno tenuto in ostaggio il nostro paese a tutti i livelli ovvero ciò che ha portato a “Non fare assolutamente nulla. Per non sbagliare, per non rischiare, per non assumersi responsabilità, per abbattere i costi del presente ignorando il futuro, facendo finta che non ci sarà mai un domani.”

Delzìo cita dati, fatti, incontri e dinamiche di palazzo e dimostra come questo paese non sia stato in grado di crearsi un futuro e ne tanto meno é in grado di salvaguardare il suo glorioso passato rappresentato dal suo patrimonio che non viene salvaguardato e valorizzato ma piuttosto cade a pezzi, il problema é di vaste proporzioni e interessa generazioni intere:

“Quasi 5 milioni di under 40 che oggi in Italia non hanno ragione per scendere dal letto e uscire di casa e dei quasi 100.000 l’anno che fuggono oltre i confini nazionali, privandoci del loro talento e provocando un danno-Paese di circa 5 miliardi di euro.”

“Danno-paese” questo va considerato nell’accostarsi al fenomeno é necessario riuscire ad essere di nuovo attraenti sia per chi ha lasciato a malincuore la madrepatria e sia per chi é disposto a mettere a disposizione il suo talento per il nostro “Sistema Paese”.

Servono misure che vadano in questa direzione, un inizio é aumentare gli investimenti nella ricerca e creare partnerships pubblico-private sia nella ricerca e sia nel recupero del nostro patrimonio artistico, storico e architettonico. E’ questo il nostro asset più importante la cui abbondanza lo rende forse paradossalmente invisibile ai nostri stessi occhi.

Questa volta non é colpa della globalizzazione perché é evidente come i numeri dicono che i nostri ragazzi sono oggi “obbligati” a cercare fortuna altrove e a fare conseguentemente la fortuna altrui, mentre tutto il mondo vuole venire da noi a vedere i fasti di un tempo in decadenza e rovina.

I quarantenni, oggi finalmente giunti al potere, hanno la responsabilità storica di invertire questa spirale di declino che ha tarpato le ali a generazioni intere.

 

Non si può più attendere.

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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