Gli effetti del rallentamento dell’economia cinese sull’export italiano, le opportunità di penetrazione commerciale per le PMI nostrane ed alcuni consigli su come fare business nello Stato più popoloso del mondo. Questi sono solo alcuni dei temi trattati con Filippo Petz - vicedirettore dell’ufficio ICE di Pechino - che ha anche spiegato l’importanza del protezionismo in Cina, considerato come un vero e proprio valore dal punto di vista culturale…
Ci descrive il mercato cinese? Da quali settori è trainato?
E’ utile far presente che il mercato cinese è diretto dal governo che, attraverso i piani quinquennali derivanti da studi molto approfonditi, da un preciso indirizzo all’economia del Paese. Se andiamo a vedere l’ultimo piano quinquennale vengono citati elementi come la modernizzazione dell’agricoltura (per limitare il flusso di popolazione dalle campagne che assedia le città) ed un maggior impegno nella gestione dei servizi. Dunque i tecnici operai non sono più l’unica risorsa necessaria per il governo cinese ed un ruolo di rilevo è stato via via assunto anche dai funzionari, persone che devono svolgere servizi, risolvere problemi, assistere le persone svolgendo con efficacia le procedure amministrative.
E’ inoltre bene ricordare che si parla di un’economia enorme, come enorme è il Paese: per farci un’idea il PIL cinese ha raggiunto nel 2015 i 67mila miliardi di rmb, che equivalgono a più di 9.100 miliardi di euro. La parte più importante del PIL è realizzata dai settori edile e manifatturiero mentre in secondo piano rimane ancora il settore dei servizi. Il settore edile è quello che sta dando manifestazioni di maggiore sofferenza con lo scoppio di una bolla edilizia e centinaia di migliaia di case nuove che sono ancora disabitate.
A seguito del recente rallentamento dell’economia quali sono stati i settori più colpiti? E quali le ricadute sull’importazione di prodotti Made in Italy?
Nel complesso, anche in presenza di un rallentamento della crescita del PIL (rallentamento fisiologico per i necessari riequilibri che devono instaurarsi in una economia così ampia e così “giovane”), le possibilità di incontro con l’offerta italiana rimangono molto forti, per il dovuto nuovo orientamento delle scelte cinesi verso la ricerca della qualità e non soprattutto della quantità, come era nel recente passato.
Guardando ad un settore specifico come l’edilizia vediamo che effettivamente c’è una contrazione sulla bilancia commerciale italiano-cinese per quanto riguarda le voci macchinari e strumentazione. Ma rallentamento dell’economia (la crescita cinese del 2015 pur pari al 6,9% è stata la peggiore dell’ultimo quarto di secolo) vuol dire principalmente rallentamento dei consumi e, per quanto riguarda le importazioni dall’Italia, prevalentemente consumi nel mercato del lusso. Infatti possiamo notare che la bilancia commerciale italiana presenta delle contrazioni. Oggi in Cina esistono delle “forbici sociali” notevoli, quindi aumenta la ricchezza di pochi e non progredisce la ricchezza di molti. Il settore del lusso italiano dunque continuerà certamente ad avere appeal sul territorio cinese ma, ad esempio, mentre negli anni del boom economico era usuale nei pranzi di lavoro fra imprenditori e funzionari scambiarsi bottiglie di vino pregiato o oggetti di lusso, oggi questo accade sempre meno. In grande ascesa è invece l’export Made in Italy nel settore arredo e mobili. Questo significa non solo che il consumatore cinese sta aprendo i suoi gusti ad uno stile di vita occidentale e a prodotti di qualità ma anche che sono state implementate delle buone politiche di marketing del brand Italia negli anni scorsi.
Nel mercato cinese c’è spazio per i piccoli marchi italiani o sono sempre le grandi multinazionali a prevalere?
La domanda è abbastanza difficile perché bisogna tenere presente la cultura del Paese. Sia gli italiani che i cinesi hanno basi culturali solide, estremamente ricche di storia che costituiscono un motivo di orgoglio per entrambi i popoli. Per questa ragione italiani e cinesi hanno voglia di sperimentare ma solo fino ad un certo punto. Non ci si può dunque aspettare che il prodotto italiano sia immediatamente accettato dal consumatore cinese ma è probabile che, se un certo prodotto del Made in Italy vanta storie di successo su altri mercati, esso venga ben recepito in Cina. Le imprese che possono permettersi un livello di investimenti in marketing molto importante sono certamente avvantaggiate ma ci sono opportunità anche per i piccoli marchi. Per esempio nel comparto della salute: in Cina c’è una specie di ossessione per quanto riguarda il prodotto salutare soprattutto per quel che riguarda il cibo. La dieta mediterranea è riconosciuta a livello mondiale come la migliore in assoluto e forse bisognerebbe provare a spiegare tutti i benefici che essa comporta anche in Cina. Il consiglio da dare ad un’azienda italiana del food che volesse entrare nel mercato cinese è dunque quello di puntare molto su questo aspetto senza dimenticare però che il gusto cinese nell’alimentare è profondamente diverso da quello italiano. Se guardiamo le statistiche, il settore alimentare cinese maggiormente aperto è quello degli snack. Tutto quello che è impacchettato, qui funzionerebbe e sta funzionando. Se invece parliamo di prodotti alimentari con un significato e un gusto che si discosta molto da quelli della tradizione cinese allora probabilmente è necessario più tempo oltre ad una mirata campagna promozionale.
Quindi quali sono le categorie merceologiche che potrebbero funzionare bene oltre al food?
I settori migliori sono probabilmente Health&Care, Fashion e Turismo.
In particolare si rileva un crescente interesse dei cittadini cinesi nel voler visitare il nostro Paese e la buona notizia è che sembra stiano progressivamente abbandonando la filosofia del “una settimana, dieci capitali”. Attenzione però a “lanciarsi sul mercato cinese” perché i cinesi sono consumatori molto esigenti. Per dare un’idea: internet è un canale di informazioni estremamente importanti dove si scatenano le ire dei consumatori che ritengono di aver subito da un’azienda un cattivo trattamento. Il commercio elettronico è un canale che funziona benissimo nel Paese anche per la difficoltà – vista la vastità dello Stato – di avere una distribuzione capillare su tutto il territorio e per questo può essere una grande opportunità anche se deve essere usato con una certa cautela. Il consiglio è di curare molto la fase dell’assistenza post-vendita nei confronti della quale i cinesi dimostrano una spiccata sensibilità.
Qual è la sua opinione in merito al dilagante fenomeno della contraffazione di prodotti italiani in Cina? Quali misure si possono mettere in atto per contrastarlo?
Dal punto di vista della contraffazione la Cina è un mercato molto difficile perché online si vendono molti prodotti falsi e per questa ragione il mercato cinese può fare paura. Però bisogna valutare la cosa da diversi punti di vista anche perché gli strumenti di contrasto al fenomeno ci sono ma (purtroppo) spesso le aziende in Italia non li prendono in considerazione. Noi siamo spesso raggiunti da richieste di aziende che ritengono di avere un ottimo prodotto e probabilmente ce l’hanno veramente. Ci chiedono principalmente di fornirgli dei contatti con agenti cinesi. Quando però chiediamo se hanno registrato il loro marchio, il 90% delle volte la risposta è no. Questo significa che non c’è una adeguata tutela del patrimonio intellettuale che invece è presente qui in Cina. Ovviamente sta poi al singolo imprenditore valutare se gli convenga o meno registrare il prodotto. Noi come ufficio ICE di Pechino abbiamo un servizio dedicato alla proprietà intellettuale, attivo ormai da due anni, attraverso il quale forniamo valutazioni di primo livello.
Quali sono gli aspetti culturali specifici delle due culture che potrebbero costituire degli ostacoli o delle opportunità?
I cinesi più di noi italiani hanno una visione sino-centrica mentre noi siamo più proiettati all’internazionalizzazione. A vincere sul mercato cinese saranno quelli che riusciranno a fare di uno specifico aspetto culturale locale una leva per proporsi meglio su questo mercato tenendo bene a mente che il protezionismo è un vero e proprio valore culturale in Cina. Quello che mi preme consigliare è di evitare di partecipare a cene estenuanti o condurre trattative che vadano troppo per le lunghe perché un cinese di fronte ad una proposta concreta e ad una buona occasione commerciale è assolutamente disponibile, al contrario di quello che pensano in molti, a chiudere la trattativa in tempi brevi.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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