Amicomed: l’app italiana che tiene la pressione “under control”

Amicomed: l’app italiana che tiene la pressione “under control”

24 Aprile 2019 Categoria: Un'Italia da Export

Con Giangiacomo Rocco di Torrepadula, Ceo di Amicomed, abbiamo parlato della startup attiva nel settore della digital health che porta avanti una mission davvero nobile.

Da dove nasce l’idea di Amicomed?

L’idea di Amicomed nasce dall’incontro con il Prof. Domenico Cianflone, cardiologo direttore del reparto di riabilitazione cardiaca al San Raffaele di Milano. Insieme infatti ci siamo trovati a discutere dell’importanza di trovare una soluzione efficace, scalabile e di facile utilizzo per gestire la pressione arteriosa a livello globale. L’ipertensione è chiamata “il killer silenzioso” in quanto spesso non presenta sintomi se non quando, purtroppo, è già troppo tardi. Essa è la principale causa di tutti gli eventi cardiovascolari gravi, come ictus ed infarto. Amicomed nasce dunque per sostenere un miliardo di persone al mondo che soffrono di ipertensione fornendo una valutazione dell’andamento della pressione degli ultimi 30 giorni e creando a un programma personalizzato per migliorare lo stile di vita. In questo modo Amicomed non solo aiuta l’iperteso a capire le variazioni della propria pressione arteriosa, ma anche a migliorarla seguendo suggerimenti personalizzati su attività fisica e dieta.

Da chi è composto il vostro team e quali sono le competenze più importanti per lo sviluppo e la crescita della vostra idea imprenditoriale?

Siamo una realtà che sta crescendo e si sta espandendo; per questo ogni persona del team è essenziale per la crescita del nostro servizio. Il team commerciale ha lavorato molto bene, sia negli Stati Uniti che in Europa, anche grazie anche al servizio solido del nostro team di sviluppo. Come potete ben comprendere tutte le figure in Amicomed sono importanti: non esiste mercato se non esiste un buon prodotto e tutti contribuiscono affinché Amicomed cresca.

Quali sono le principali difficoltà che una startup incontra nel mercato italiano?

In questo caso posso esprimermi solamente sulla realtà di Amicomed, ovvero il campo delle terapie digitali, o tutto quello che rientra nel cosiddetto digital health e – più specificamente – digital therapeutics. La disponibilità di fondi è ancora molto limitata comparata alla realtà internazionale ma sembra che situazione stia lentamente migliorando. Il nostro trasferimento dall’Italia agli Stati Uniti è dovuto principalmente a questo motivo, oltre al fatto che il mercato americano sembrava essere pronto per queste soluzioni innovative, più di quanto non fosse l’Europa di 4 anni fa.
Inoltre la cultura dell’innovazione è ancora poco diffusa. Questo si traduce in difficoltà di adozione di strumenti del genere da parte dei potenziali business partner. Fanno eccezioni alcuni attori che sul mercato si stanno muovendo con grande efficacia, come ad esempio la Welion, società nuova del Gruppo Generali che sta creando una piattaforma molto innovativa dedicata a questi servizi e che ha voluto firmare un’esclusiva sul mercato italiano per il servizio Amicomed, cosa che ovviamente ci onora.

Quali mercati internazionali pensate siano più attrattivi per il vostro business e quali quelli dove trovare più facilmente investitori o finanziamenti?

L’Europa è un mercato che è molto cresciuto in questi ultimi anni, ne abbiamo avuto la riprova dalle partnership che abbiamo stretto in questi ultimi 2 anni. Siamo rimasti sorpresi nello scoprire che anche la Polonia spinge molto per trovare soluzioni valide per la gestione di malattie croniche che siano allo stesso tempo sicure e che permettano una gestione più efficiente dei pazienti a costi contenuti. Gli Stati Uniti restano sempre uno dei Paesi più all’avanguardia, seguiti da Israele. Gli ultimi nostri investitori provengono da Europa e Stati Uniti. D’altro canto non abbiamo ancora considerato la possibilità di affacciarci al mercato asiatico perché al momento non avremmo la forza come team in questo momento. Siamo però convinti che ci siano enormi opportunità li.

Partecipare a programmi di supporto e tutoraggio offerti da incubatori ed acceleratori italiani genera un’utilità ed un vantaggio competitivo per una startup?

Non abbiamo partecipato a questo tipo di programmi in Italia, ma lo abbiamo fatto negli Stati Uniti con Launchpad Digital Health, che non solo è stato il nostro acceleratore, ma ha anche investito nella company, aiutandoci a sbarcare negli Stati Uniti.

Quale consiglio dareste ai giovani startupper che intendono sviluppare una propria idea in Italia?

Sviluppare le idee in Italia tenendo sempre un occhio sui mercati internazionali perché l’innovazione non ha, per definizione, barriere geografiche.

Obiettivi per il futuro…

I nostri obiettivi commerciali per il 2019 sono già stati raggiunti. Entro la fine dell’anno speriamo di concludere qualche altro accordo, sia in Europa che negli Stati Uniti, e di continuare a lavorare per sviluppare le personalizzazioni che ci hanno richiesto i nostri partner, migliorando ulteriormente il servizio seguendo i consigli dei nostri utilizzatori, oltre a rendere il servizio disponibile in più lingue. Un ulteriore obiettivo è quello di confermare i nostri risultati in nuove geografie ed applicazioni, attraverso una serie di piloti che stiamo svolgendo.

Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

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