La notizia della seppur lieve ripresa dei consumi interni dello 0,5% rispetto a marzo 2015 fa ben sperare in un cambio di umore da parte degli italiani e anche l’ultimo Report Confcommercio su consumi e prezzi conferma le previsioni di crescita della domanda interna (+1,1% per l’anno in corso e +1,4% per il 2016).

Respiro e fiducia per un’economia colpita duramente dalla crisi degli ultimi anni che ha trasformato l’export nel “salvagente” dei conti per il Paese.

Il progressivo trend di crescita ha portato quasi al raddoppio del valore totale dell’export (+46,1%) e non passa inosservato come a fare la parte da leone sia stato il settore agroalimentare: i dati dimostrano come la crescita del valore dell’export alimentare viaggia a velocità doppia rispetto al dato generale, con una crescita record nel decennio 2004-2014 dell’83,8%.

Le vendite all’estero di prodotti agroalimentari sono aumentate costantemente negli ultimi anni, raggiungendo un valore complessivo di 34 miliardi pari all’ 8,5% del totale delle nostre esportazioni.

I margini di crescita sono ancora molti e anche se il balzo in avanti é già evidente (nel 2007 l’incidenza sul totale era pari al 6,7%), entro il 2020 le proiezioni - se ben supportate da azioni coerenti e funzionali – portano alla cifra record di 50 miliardi di euro.

Secondo le previsioni dell’ultimo rapport SACE fino al 2018 la crescita dell’export nel settore - miglior risultato atteso all’interno del comparto manifatturiero - dovrebbe attestarsi al 6%, un punto percentuale in più rispetto alle previsioni del complesso dei beni.

La fortuna aiuta e premia gli audaci, così come non bisogna adagiarsi sugli allori e quindi nessuno deve dimenticare che nonostante il trend positivo, sono ancora molti i fattori che ostacolano il pieno dispiegamento del valore del Made in Italy nel mondo in generale e in particolare nel caso dell’agroalimentare.

Certamente in primis la ridotta dimensione delle nostre imprese, troppo piccole per la competizione globale soprattutto nei mercati più lontani, quelli che oggi offrono le opportunità più interessanti.

Come abbiamo avuto modo di approfondire su Exportiamo nelle scorse settimane, per risolvere questo deficit strutturale il legislatore nel 2009 ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo strumento, il “contratto di rete” per incentivare la collaborazione tra imprese che - pur mantenendo la propria indipendenza, autonomia e specialità - si possono “mettere in rete” per la realizzazione di progetti ed obiettivi condivisi che puntino ad incrementarne la capacità innovativa e la competitività sul mercato. Questo nuovo istituto é innovativo anche per le modalità di costituzione dal momento che dal 2014 é possibile redigerlo per atto firmato digitalmente.

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Un altro problema determinante e realmente escludente a tratti per le nostre imprese é invece la mancanza di adeguati ed efficienti “campioni nazionali” nei canali distributivi. Rispetto a paesi come Francia e Germania - presenti con proprie catene di distribuzione affermate in tutto il mondo - l’Italia deve fare uno sforzo in più: sfruttare adeguamente la leva della comunicazione e promozione dei prodotti e sviluppare il canale dell’HO.RE.CA (Hotel-Restaurant-Catering), tuttora veicolo fondamentale d’accesso nei mercati esteri per l’agroalimentare.

Dando invece uno sguardo ai nostri mercati di destinazione, la domanda dei prodotti agroalimentari é trainata dai paesi più industrializzati dell’Unione Europea, quali Germania (primo mercato di destinazione), Francia, Regno Unito, Stati Uniti (primo mercato extraeuropeo) e Svizzera: questi cinque paesi costituiscono il 52,0% del totale dell’export alimentare italiano, mentre i paesi dell’UE insieme pesano il 62,2%.

La domanda di prodotti Made in Italy certo cresce anche altrove, in paesi più lontani ma a maggior potenziale di sviluppo come Polonia, Emirati Arabi e Cina.

Tra le economie più dinamiche che hanno registrato tassi di crescita a doppia cifra vanno segnalate anche Taiwan (+25%), Corea del Sud (+20,2%) e Singapore (+14,6%).

A livello merceologico invece, la metà dell’export agroalimentare é rappresentato in particolare da 3 prodotti: vino, olio e conserve.

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La dinamica del vino é molto favorevole e si conferma al primo posto per volumi, con il 20,3% del totale e un valore di 5,523 miliardi di euro.

L’olio d’oliva, invece avrà un ottimo potenziale da sfruttare in Cina, mentre per le conserve le opportunità più interessanti sono in Arabia Saudita.

Negli Stati Uniti anche grazie all’immaginario collettivo sedimentato nel corso degli anni, il cibo italiano é percepito come sinonimo di qualità e spesso associato ad aspetti intrinseci quali cultura, storia, arte e tradizione regionale.

Il vino con una quota del 33% e, soprattutto, l’olio con una quota di mercato del 38% risultano essere i prodotti più apprezzati.

Rispetto ai mercati maturi, grazie all’esistenza di normative comuni e servizi di promozione e vendita, i mercati emergenti pongono, invece, nuove sfide per l’esportatore, in quanto é necessario compiere uno sforzo maggiore per comprendere i gusti locali, adattando il prodotto alle aspettative e veicolandolo in maniera funzionale.

A livello governativo l’approvazione del Piano straordinario del Made in Italy per un ammontare complessivo di 220 mln di euro per tre anni, di cui 130 da spendere nel 2015, che a breve verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, si pone l’obiettivo di incentivare attività di promozione e sviluppo dell’internazionalizzazione di prodotti e servizi Made in Italy e prova a intervenire anche

Per l’agroalimentare, nello specifico, saranno predisposti quattro milioni di euro per la realizzazione di un marchio distintivo unico dei prodotti agricoli per la promozione all’estero.

Non solo, il Piano prevede diverse azioni che vanno dal favorire l’accesso a grandi eventi fieristici a mettere in campo un piano di promozione in collaborazione con le catene distributive, mentre é sempre più importante promuovere campagne promozionali nei mercati più rilevanti e azioni di contrasto al fenomeno dell’italian sounding.

Strategico é considerato lo sviluppo e-commerce per le PMI mentre - come abbiamo già visto - molte aspettative sono riposte nei voucher formativi per temporary export manager che andranno ad incidere nell’organizzazione stessa delle aziende.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Annarita Summo,  redazione@exportiamo.it

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