Una delle vicende che rimarranno di questo 2018 sarà sicuramente quella riguardante l’estenuante guerra commerciale portata avanti dall’amministrazione Trump. I rapporti commerciali tra USA e Cina stanno accusando i colpi che le due grandi potenze si assestano reciprocamente a suon di dazi e rappresaglie. Ultimo della serie quello di Jack Ma, numero uno di Alibaba, che ha scelto di non investire nel mercato statunitense (come aveva invece promesso), mandando così in fumo la possibilità di generare ben un milione di posti di lavoro per i cittadini americani.
Data la portata ed il valore dello scambio di merci fra Pechino e Washington è indubbio che gli effetti di questo scontro avranno una portata globale, stravolgendo le relazioni commerciali per come le conosciamo ora. A detta dello stesso Jack Ma potremmo essere all’alba di una vicenda che andrà avanti per i prossimi venti anni.
Ultimamente la guerra commerciale tra Usa e Cina è tornata sotto i riflettori dei mercati internazionali dopo le ultime tariffe annunciate dall’Amministrazione Trump. Queste tariffe inficiano la possibilità di rendere effettivo il tavolo di trattative che Mnuchin, consigliere vicino a Trump, dovrebbe condurre con i rappresentanti di Pechino. Il governo cinese, da parte sua, vuole far sentire le proprie ragioni al Wto, organo che regolamenta gli scambi internazionali, perché applichi delle sanzioni per l’illegittimità delle politiche anti-dumping di Washington.
È sicuramente difficile districarsi nella ingarbugliata serie di eventi orbitanti attorno alla guerra commerciale e per questo motivo la tedesca TradeMachines ha pubblicato una breve guida che riassume quanto accaduto finora, cercando di fornire gli strumenti necessari per comprendere le dinamiche di una tanto complicata vicenda.
Stando al report, l’astio degli USA verso i partner cinesi si è acuito nel 2001, anno di entrata della Cina nel mercato globale. Da allora il deficit commerciale accumulato con Pechino è infatti cresciuto in maniera consistente, generando malcontento nelle industrie locali.
La forza di Trump è stata anche quella di dare spazio a questo risentimento, trovandosi ora a dover rispettare quanto promesso in campagna elettorale. Secondo TradeMachines, le argomentazioni utilizzate per imporre dazi andrebbero viste sotto una prospettiva diversa. Se si considera la volontà di voler difendere posti di lavoro dalle minacce provenienti da Oriente, va anche considerato quanti lavoratori dovranno trovarsi un altro impiego a causa del blocco con i partner cinesi. Dalla sua apertura al commercio globale, la Cina ha sì immesso sul mercato un’ingente mole di prodotti a prezzi ribassati, ma ha anche stretto rapporti che, con gli anni, si sono ramificati negli Stati Uniti. Recidere il rapporto con la Cina vuol dire togliere il terreno sotto i piedi ad una fetta dell’industria americana. Nello studio viene messa in questione anche la scelta di applicare dazi su acciaio ed alluminio, dato che la Cina non figura neanche tra i primi 10 Paesi che esportano questi materiali sul suolo americano.
La Casa Bianca soffre di un significativo deficit commerciale anche con l’Unione Europea, che, secondo le argomentazioni del presidente Trump, godrebbe di rapporti troppo favorevoli negli scambi commerciali, frutto di politiche che in passato erano rivolte supportare il risanamento economico post-bellico.
Ad ogni modo, l’ultimo incontro tra Juncker e Trump, lo scorso luglio, sembra aver portato ad un armistizio per quanto concerne l’imposizione di dazi tra USA e “Vecchio Continente”.
Gli eventi di queste ultime settimane potrebbero innescare una reazione a catena che poco gioverebbe alle economie nazionali. Al momento è difficile prevedere quale sarà la prossima mossa del focoso tycoon americano, ma sicuramente, in questa fase, la Casa Bianca è stretta tra la volontà di applicare i dazi promessi e la necessità di dialogare con Pechino prima che il Wto prenda in considerazione le sue richieste.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Diego Parravano, redazione@exportiamo.it
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