Dopo quasi un anno di battaglie combattute a suon di dazi e ritorsioni, sembrano profilarsi all’orizzonte i segnali su un possibile accordo tra Cina e Usa sul fronte commerciale.

I negoziati commerciali tra le delegazioni ministeriali di Stati Uniti e Cina allo scopo di ricomporre le differenze tra le due superpotenze si sono conclusi a Pechino nella giornata di ieri, 9 gennaio 2019, con un’estensione di un giorno dei negoziati rispetto ai due concordati.

Si tratta del primo faccia a faccia dalla tregua raggiunta nella disputa tariffaria concordata dal presidente Usa, Donald Trump, e dal presidente cinese, Xi Jinping, a margine del G20 di Buenos Aires, il 1 dicembre scorso, che ha congelato per 90 giorni gli extra-dazi minacciati dagli Usa su 200 miliardi di dollari di prodotti Made in China e che erano in programma per il 1° gennaio. Congelate le automatiche ritorsioni, Pechino ha abbassato i balzelli già imposti per rappresaglia sulle auto Usa e ha promesso maggiori acquisti di soia americana.

A Pechino è giunta una delegazione guidata dal vice rappresentante per il Commercio, Jeffrey Gerrish, e da David Malpass, il sottosegretario al Tesoro con la delega agli affari internazionali, per incontrare la controparte cinese, assieme a funzionari dei relativi Dipartimenti, più quelli di Agricoltura ed Energia. Non si tratta ancora dei capi negoziatori, che entreranno in gioco se e quando un accordo sarà in vista. A vedersi però sono stati i funzionari un gradino appena più in basso nella scala gerarchica, segno, secondo alcuni analisti, che sul tavolo ci sarebbe almeno lo schema di un’intesa.

Nelle settimane precedenti il presidente cinese Xi Jinping aveva mandato una serie di segnali di “buona volontà”. I dazi sulle auto americane sono stati riportati ai livelli pre escalation, sono ripresi gli acquisti di soia Made in Usa, e soprattutto è stata presentata una nuova versione della legge sugli investimenti esteri che vieterebbe l’obbligo per le imprese straniere di trasferire la propria tecnologia alla Cina.

Questa “apertura” si avvicina al cuore delle richieste di Trump: ben oltre il tema della bilancia commerciale, che dovrebbe essere riequilibrata con maggiori acquisti di merci americane, gas e prodotti agricoli, quello che interessa al presidente Usa è difendere il primato tecnologico nazionale dall’assalto di Pechino. Da questo punto di vista Xi potrebbe bloccare le azioni di cyberspionaggio contro le aziende americane, magari garantendo loro maggiore accesso al mercato cinese in settori fino a oggi “protetti”, come la finanza o l’hi-tech.

Il ministero del Commercio cinese ha fatto sapere tramite una nota ufficiale che Cina e Usa hanno tenuto a Pechino dal 7 al 9 gennaio “estesi, profondi e dettagliati dialoghi” sul commercio definendo “le basi per risolvere le preoccupazioni reciproche“. Secondo Pechino le due potenze hanno “con entusiasmo rafforzato il consenso importante” raggiunto dai presidenti Xi e Trump a Buenos Aires e convenuto di mantenere “stretti rapporti“.

Il dipartimento americano del commercio dello Us Trade Representative ha riferito dal canto suo che i funzionari hanno discusso in merito alla “necessità che la Cina avvii cambiamenti strutturali” su questioni come il trasferimento di tecnologie, la protezione della proprietà intellettuale e i furti cibernetici. I negoziati si sono concentrati anche “sulla promessa della Cina di acquistare una quantità notevole di beni manifatturieri, energetici, agricoli. E altri prodotti e servizi degli Stati Uniti”.

Le dichiarazioni arrivate da entrambe le parti lasciano dunque sperare nella possibilità di una intesa commerciale nei prossimi mesi. I colloqui dovrebbero continuare a fine mese a Washington, al più alto livello, con il capo negoziatore americano Robert Lighthizer e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin. I negoziati ad alto livello continueranno a margine del World Economic Forum di Davos, in Svizzera, dal 22 al 25 gennaio, dove Donald Trump ha confermato la sua presenza e dovrebbe incontrare il vice presidente cinese Wang Qishan, secondo la stampa cinese.

La scadenza per arrivare a un accordo è il 2 marzo. Secondo diverse fonti gli americani vorrebbero chiudere il negoziato prima del termine, per dare un segnale positivo ai mercati.

L’esito dei negoziati però non è affatto scontato, nonostante le attese, perché secondo diversi osservatori le aperture cinesi rischiano di dividere la Casa Bianca. Potrebbero soddisfare le aspettative dei consiglieri più moderati di Trump, come il segretario al Tesoro Mnuchin e il consigliere economico Larry Kudlow. Ma rischiano di non accontentare il lato più “duro” dell’amministrazione guidato dal “falco” Lighthizer e dall’economista Peter Navarro.

L’impressione è che molto dipenderà dalla congiuntura economica nei due Paesi.

Il rallentamento della crescita cinese, come ha detto Trump, spinge Xi ad un accordo che scongiuri nuove tariffe. I cinesi infatti, secondo tutte le stime, quest’anno vedranno rallentare la crescita economica attorno al 6%, peggiore dato dalla crisi di piazza Tien An Men del 1989, e hanno già deciso un piano di contromisure di stimolo per l’economia.

A sperare in un accordo sono anche le aziende americane che fanno affari in Cina, come Apple o Fedex, che nei loro report già spiegano il calo dei ricavi con i problemi legati alla war trade con la Cina. Altre big company Usa come General Motors, Boeing e Caterpillar, molto presenti nel Paese, che temono ripercussioni sulla loro crescita. Premono per un’intesa anche gli investitori: nell’ultimo anno a Wall Street con l’escalation della guerra commerciale l’indice S&P 500 ha perso l’8% del suo valore.

Il momentaneo allineamento fra due debolezze potrebbe dunque facilitare l’intesa.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it

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