Nutri-Score: Penalizza Davvero il Made in Italy?

Nutri-Score: Penalizza Davvero il Made in Italy?

11 Novembre 2020 Categoria: Food & Beverage

Ha suscitato, e continua a suscitare aspre polemiche l’adozione, in diversi Paesi europei, dell’etichetta nutrizionale Nutri-Score per i prodotti agroalimentari. In molti sostengono infatti che scoraggerebbe il consumo (e dunque l’export) di numerosi prodotti tipici italiani. Ma è davvero così? Scopriamolo insieme.

Il Nutri-Score, definito spesso anche come “etichetta a semaforo”, è un’etichetta nutrizionale interpretativa basata su un sistema che abbina le prime cinque lettere dell’alfabeto a cinque rispettivi colori, che vanno dal verde della A (la migliore scelta dal punto di vista nutrizionale), al rosso della E (la peggiore). In pratica, su una quantità minima di 100 grammi vengono rilevate, semplificando, le presenze positive (es: fibre ecc.) e quelle negative (es: grassi saturi ecc.) e poi computate in un calcolo matematico che assegna un punteggio che determinerà lettera e colore finale.

Sviluppata da ricercatori dell’università di Parigi e dell’Inserm, questo tipo di etichetta è utilizzata, oltre che in Francia, anche in Belgio, Spagna e Germania.

L’etichetta dovrebbe rendere il consumatore più consapevole sui principali elementi nutritivi contenuti nei prodotti da scegliere ed indirizzarlo in maniera rapida ed efficace verso alimenti più salutari. È ormai noto, infatti, che il problema dell’alimentazione scorretta non è più ad esclusivo appannaggio degli USA, patria del junk food, ma anche tra i Paesi dell’UE è in aumento il tasso di obesità, causata principalmente dalle cattive abitudini alimentari.

Tuttavia, il funzionamento dell’etichetta ha rilevato delle criticità e la classificazione di alcuni prodotti italiani ha generato l’allarme di diversi esponenti politici  e di numerose associazioni di categoria che hanno gridato al complotto contro il Made in Italy.

In una nota stampa, Coldiretti per esempio ha rimarcato l’impatto negativo che subirebbe quasi l’85% dei prodotti Made in Italy con marchio IGP/DOP, mettendo a rischio circa 28 miliardi di esportazioni agroalimentari del Belpaese. Difatti, secondo l’associazione agricola, il sistema finisce “per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta, promuovendo cibi spazzatura con edulcoranti al posto dello zucchero e penalizzando elisir di lunga vita come l’olio extravergine di oliva considerato il simbolo della dieta mediterranea, ma anche specialità come il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano ed il prosciutto di Parma”.

Annotazioni che seppur con sfumature diverse, sono state condivise anche da altre associazioni di categoria italiane, tra cui ad esempio Federvini (nella nota del 15 ottobre), ed europee come Copa e Cogeca, oltre che da numerose Camere di Commercio all’estero.

L’esempio ormai divenuto emblematico sul quale gli esponenti di questa linea di pensiero fondano le loro tesi è quello del confronto tra l’olio extra vergine di oliva, che sicuramente verrebbe classificato come il migliore tra altri simili (olio di semi, girasole ecc.) ma si vedrebbe comunque assegnato un colore tendente al rosso e verrebbe percepito come insalubre, e la Coca Cola Light che, con un basso contenuto di zuccheri, riceverebbe invece una sonora promozione con la lettera B (la Coca Cola avrebbe sempre invece la lettera E).

Gli sviluppatori del sistema Nutri-Score rispondono sostenendo che “Il confronto tra olio d’oliva e Coca Cola Light non ha alcun senso. La domanda non si pone per i consumatori al momento dell’acquisto, perché è molto improbabile che abbiano intenzione di condire l’insalata con la Coca-Cola o, viceversa, di rinfrescarsi con l’olio d’oliva”, spiegano i ricercatori. “In realtà, il consumatore deve essere in grado di confrontare la qualità nutrizionale degli alimenti equiparabili e sostituibili tra loro. Se si deve scegliere un olio, per esempio, grazie a Nutri-Score il consumatore vedrà che quello d’oliva è il migliore della classifica. E anche per una bevanda, vedrà che l’acqua è l’unica classificata in A e che le bibite zuccherate sono tutte nella classificazione E”.

Dove sta allora la verità? Nel mezzo, come dice il proverbio. Se fosse chiaro a tutti i consumatori che l’etichetta a semaforo permette di confrontare cibi e bevande tra loro comparabili, sarebbe sicuramente un ottimo strumento di informazione, ma nel momento in cui esprime un giudizio nutrizionale sul singolo prodotto senza tenere conto del suo inserimento nel quadro di una dieta complessiva bilanciata per ciascun individuo, allora sì che diventa fuorviante e superficiale.

Quali le alternative dunque? L’Italia ha notificato alla Commissione Europea la proposta di adottare una proposta alternativa al semaforo: la cosiddetta etichetta a batteria, o “Nutrinform Battery”, che valuta non il singolo prodotto in sé, ma il suo ruolo all’interno di una dieta bilanciata. Il sistema, a cui l’UE ha dato il via libera lo scorso luglio –permettendo ai produttori e distributori del settore alimentare di adottarlo volontariamente- esclude l’uso dei colori a favore di una simbologia legata alla percentuale di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale rispetto alla quantità giornaliera raccomandata e relativa a una singola porzione. La parte “carica” della batteria rappresenta la percentuale di quel tipo di nutriente (grassi, zuccheri, sale…) contenuta in una singola porzione. Per non superare la quantità di assunzione giornaliera raccomandata, il consumatore deve prestare attenzione a non superare la “carica” della batteria nell’arco di una giornata.

Questa soluzione garantirebbe indicazioni più precise rispetto alla salubrità di un determinato alimento considerandolo nell’ottica del consumo raccomandato giornaliero. Per fare un esempio: se con il semaforo, l’olio extra vergine verrebbe classificato ROSSO, perché contiene molti grassi, il sistema a batteria ci indicherebbe che i 14 grammi di olio extra vergine di oliva che contengono sì 12,9 grammi di grassi corrispondono in realtà al 18,4% del fabbisogno quotidiano.

Tuttavia, ha il difetto di essere più complicata e certo meno immediata all’occhio del consumatore. L’ideogramma scelto, infatti, non è immediatamente intuibile, è privo di colori che rendano immediato il confronto con altri prodotti, e la base di riferimento per le calorie consumate è costituita da 2.000 calorie giornaliere che sono l’ideale per un uomo adulto ma potrebbero non esserlo per una donna o un bambino ad esempio.

Fonte: Informacibo.it

La Ministra per l’Agricoltura, Teresa Bellanova, si aspetta comunque che questo sistema “venga opportunatamente valutato dall’Europa dal punto di vista scientifico” soprattutto in seguito allo studio d’impatto che sarà condotto - nell’ambito della strategia Farm to Fork- per l’anno a seguire.

Come è evidente dunque, il dibattito su un’etichetta nutrizionale condivisa in tutti i Paesi europei rimane ancora aperto considerato che siamo ancora molto lontani dal trovare un’immagine che contenga tutte le informazioni e non scontenti nessuno.

Ciò che ci si augura è che il dialogo europeo possa convergere verso un sistema in grado di garantire informazioni chiare, semplici ma soprattutto complete al consumatore finale e che al tempo stesso non minino i principi della dieta mediterranea e del consumo bilanciato degli alimenti previsti nella piramide alimentare nonché dei macronutrienti di interesse indicati dall’OMS.

E possibilimente, l’auspicio è anche che nessun Paese, ed in particolare l’Italia che è notoriamente il Paese del “buon mangiare”e non del cibo spazzatura, venga penalizzato dall’adozione di etichettature la cui interpretazione potrebbe essere tutt’altro che illuminante. 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Gianluca Totaro, redazione@exportiamo.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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