Cosa accadrebbe se la Cina smettesse improvvisamente di prestare denaro agli altri stati?

Il repentino processo di sviluppo cinese e i cambiamenti in atto potrebbero avere ripercussioni importanti per tutto il mondo occidentale.

Innanzitutto c’é da dire che la Cina sta pian piano perdendo il suo ruolo di “fabbrica del mondo” e infatti molte imprese stanno delocalizzando la produzione in altri paesi in cui il costo del denaro é sensibilmente più basso rispetto a quello cinese (27,50 dollari al giorno) come Vietnam (6,70 dollari al giorno) ed Indonesia (8,60 dollari al giorno).

“Europe innovators need China’s capital” é il titolo di un articolo recentemente pubblicato dal World Economic Forum in cui si sostiene la tesi secondo la quale la Cina nel prossimo futuro potrebbe verosimilmente diventare il maggior fornitore di capitale al mondo, non solo per le economie emergenti, ma anche per le economie maggiormente sviluppate fra cui, appunto, anche quella europea.

In effetti il governo cinese ha annunciato che nel 2015 saranno stanziati ben 6,5 miliardi di dollari a supporto di start-up operanti nelle industrie maggiormente innovative.

E l’Europa?

Le giovani imprese in Europa sono purtroppo sempre più spesso a corto di capitali di rischio e quindi incontrano notevoli difficoltà.

In realtà però questa situazione non é la diretta conseguenza della mancanza di denaro in assoluto, ma piuttosto del fatto che la maggior parte del capitale disponibile é concesso sotto forma di prestito con tassi d’interesse non sempre agevolati.

La differenza é sostanziale fra coloro che mettono a disposizione delle imprese capitale di rischio e i classici finanziatori a titolo di debito (le banche) ed appare sempre più evidente come, la carenza della prima categoria all’interno del continente europeo, rappresenti un grave freno per il decollo di molte start-up

Nel vecchio continente é sempre più raro che un soggetto decida di effettuare un vero e proprio investimento in un’azienda infatti il venture capital ossia l’apporto di capitale di rischio da parte di un investitore per finanziare l’avvio o la crescita di un’attività in settori ad elevato potenziale di sviluppo é cinque volte più basso in Europa rispetto agli Stati Uniti (26 miliardi di dollari nel 2013, a fronte dei 5 miliardi investiti in Europa).

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Il rischio pratico conseguente é che molti giovani imprenditori e ideatori di nuove start-up, si ritrovano costretti a trasferire il loro business all’estero, magari proprio in territorio cinese o statunitense.

L’innovazione porta con se notevoli “effetti collaterali benefici” andando ad incrementare la competitività, il progresso sociale e gli standard di vita.

Pensare che la Cina agirà come finanziatore a livello mondiale nel prossimo futuro però potrebbe rivelarsi un errore, se si dà uno sguardo ai dati forniti dal XXIII rapporto ICE Prometeia sul commercio mondiale nel prossimo triennio (2015-2017)

Ad allarmare – come abbiamo visto analizzando il rapporto - é l’incredibile crescita del debito cinese che oggi ha toccato il 282% del PIL crescendo in misura esponenziale dall’inizio della crisi mondiale.

Fra il 2008 ed il 2011 la Cina era diventato il paese che deteneva la maggior parte di titoli di debito pubblico degli Stati Uniti, mentre la notizia di oggi é che il Giappone é tornato ad essere il principale finanziatore degli Stati Uniti, nonostante anche Tokyo abbia iniziato a vendere titoli americani ma, per ora, in misura minore rispetto ai cinesi.

A spaventare Pechino é stata la prolungata politica monetaria espansiva adottata dalla Federal Reserve che ha stampato moneta per un totale di 4.500 milardi di dollari dal 2008 ad oggi, iniettando liquidità nel sistema al fine di stimolare la crescita e ridurre la disoccupazione.

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In realtà molti di questi soldi sono stati utilizzati per rilevare titoli tossici di istituti bancari considerati troppo grandi per fallire e non per finanziare la crescita economica.

La stampa di grandi quantità di denaro inorganico però ha creato i presupposti per una svalutazione della stessa moneta ed i cinesi, che avevano ed hanno tutt’ora grosse quantità di denaro in titoli di stato americani, hanno deciso di cambiare verso alla loro politica monetaria vendendo un valore pari a 20,6 miliardi di dollari debito americano solo nei primi due mesi del 2015.

Oggi gli Usa continuano a vivere al di sopra delle loro possibilità spendendo più di quanto realmente possiedono.

Chiaramente questa situazione non é sostenibile nel lungo periodo anche perché la Cina ha deciso di smettere di finanziare, anche se per il momento solo parzialmente, il disavanzo degli Stati Uniti.

I cinesi oltre a dover fare i conti con l’esplosione del loro debito pubblico devono anche riflettere sull’aumento del cosidetto credit gap, la differenza fra la crescita del credito erogato al settore privato e il risultato economico prodotto.

Molti economisti oggi sostengono che per generare 1 dollaro di crescita economica addizionale i cinesi debbano investire fra i 3 ed i 5 dollari (alcuni parlano addirittura di 6-8 dollari) e la preoccupazione principale é che il denaro investito in diversi progetti non produca un indotto sufficiente a coprire l’investimento iniziale.

In definitiva dunque Stati Uniti e Cina, si trovano ad affrontare delle problematiche strutturali, pena il loro declino economico nel medio-lungo periodo.

L’Europa nel frattempo appare però troppo fragile e divisa per poter cogliere l’occasione per un suo rafforzamento a livello globale in un mondo che si va configurando sempre più multipolare.

Il vero rischio é vedere il vecchio continente diventare sempre più anziano, frammentato ed incapace di produrre innovazione, allontanarsi progressivamente dalle principali potenze, tradizionali o emergenti che siano.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

 

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